La repressione non guarisce una società malata (sulla recente Conferenza Salute Mentale). di Franco Corleone

Il 6 e 7 dicembre si è svolta a Roma una Conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale promossa da un cartello vastissimo di associazioni che hanno voluto far sentire la voce dell’indignazione contro l’involuzione autoritaria che vuole schiacciare i deboli, i soggetti fragili, i migranti, i poveri, i detenuti.

Appare sempre più chiaro il disegno del governo Meloni di riscrivere la storia del Paese: cancellare o deformare le leggi che hanno affermato i diritti e prevedere nuovi reati o aggravare le pene. L’elenco è ormai lungo: dalla previsione del reato universale di gestazione per altri alla limitazione di fatto dell’interruzione di gravidanza, dai limiti al diritto di manifestazione e di sciopero all’aumento delle pene per i fatti di lieve entità previsti dalla legge antidroga, dalla equiparazione della canapa tessile a quella stupefacente e alla nomina di un commissario per l’edilizia penitenziaria, dalla costruzione del Centro rimpatri in Albania al carcere per le detenute madri e le donne in gravidanza.

La proposta più provocatoria nel centenario di Basaglia è la riscrittura della legge 180 da parte di un oscuro senatore di Fratelli d’Italia che tra le tante perle prevede il Tso in carcere, la presenza di piccoli manicomi nelle prigioni e la trasformazione delle Rems in mini-Opg.

Ha ragione Maurizio Landini, che nel suo intervento (ndr il 7 dicembre, nel corso della Conferenza Salute Mentale) ha affermato come lo spartiacque rappresentato dalla chiusura dei manicomi del 1978 andasse oltre l’obiettivo specifico e abbia messo al centro la persona e non la malattia.

Dai gruppi di lavoro è emerso il quadro di una società malata e insoddisfatta; ma se il disagio sociale si espande, la risposta non può venire da una psichiatrizzazione di massa e dal ricorso magico ai farmaci: oc- corre costruire città solidali e realizzare al- leanze contro le solitudini.

Un’attenzione particolare è stata rivolta alla situazione del carcere, un non-luogo ridotto a un ammasso di corpi senza speranza. Una polemica spesso strumentale dipinge le prigioni come piene di matti, per nascondere la realtà di una detenzione sociale insopportabile, resa evidente dal sovraffollamento e dal numero record di suicidi. Le cose da fare per contrastare la voglia di pratica muscolare, manifestata dal video di propaganda del calendario della Polizia penitenziaria, sono chiare. Dopo 35 anni dall’ultimo provvedimento (dalla bulimia all’anoressia!), approvare un’amnistia e un indulto accompagnati da una legge che preveda il numero chiuso in carcere e l’istituzione di case di reinserimento sociale di piccole dimensioni, diffuse sul territorio e gestite dai sindaci, dai servizi sociali e dal volontariato. Un carcere ridotto a sole trentamila presenze potrebbe realizzare la sfida dell’articolo 27, che Meloni e Delmastro vorrebbero invece stravolgere. Molte battaglie di scopo sono già state indicate: eliminare le misure di sicurezza e le case lavoro, dare cittadinanza a tutti i detenuti, realizzare il diritto ai colloqui intimi senza controllo visivo, vietare l’isolamento disciplinare.

L’interrogativo del che fare ha aleggiato nelle menti e nei cuori e la risposta della disobbedienza civile ha convinto. Un primo segno di resistenza è offerto dalla Marcia nonviolenta organizzata per sabato 21 dicembre a Udine, dal Duomo al carcere di Via Spalato: uomini e donne sfileranno con una rosa bianca in mano.

fonte: L’Espresso

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