Servizi sanitari sempre più poveri di umanità e in crisi di fiducia. di Tiziano Vecchiato

Risposte anafettive non si possono giustificare soltanto con la mancanza di risorse. Tra gli effetti, l’aumento di chi sceglie piani assicurativi


I problemi della sanità sono crescenti: tempi di attesa, accessi al pronto soccorso, umanizzazione delle cure…

C’è chi sospetta che l’enfasi sulle inefficienze venga utilizzata solo per chiedere maggiori finanziamenti. Le risorse sono la punta dell’iceberg dei problemi che alimentano una crescente crisi di fiducia nel nostro servizio sanitario nazionale. Come spiegare diversamente la fuga nel privato di chi compra quello che potrebbe ricevere per diritto? «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Nell’articolo 32 la Costituzione descrive la doppia missione: promuovere la salute delle persone e della collettività. È una missione ambiziosa, profondamente umana e la pandemia ce lo ha insegnato. Non può essere ridotta a questione di diritti individuali gestibili nel mercato, mentre la salute è un bene di fondamentale interesse pubblico. Sbaglia chi accetta di rinunciare al diritto dei cittadini per accontentarsi del diritto dei consumatori che possono comprare cure già pagate con le tasse. La Corte costituzionale lo ribadisce nella sentenza numero 203 del 2016: «Le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana». Ma oggi prevalgono gestioni caotiche di risposte anaffettive e aride di umanità, che non possono essere giustificate soltanto con “mancanza di risorse”. Possono essere ricondotte alle incapacità organizzative e gestionali, accomunate da un diffuso deficit di umanità. Alla chiamata serale al 118 di una persona anziana appena caduta, con traumi ossei, non si può rispondere «Meglio se chiama domani mattina perché la radiologia alla sera non funziona». Alle violenze nei pronti soccorsi non si può rispondere solo rafforzando i controlli di polizia. Alla tutela dei diritti delle persone con ridotta autonomia non si può rispondere legandole ai loro letti. Sono scene di ordinaria follia organizzativa. Non possono essere ridotte a cattivi comportamenti professionali, quando sono qualificabili come veri e propri “maltrattamenti istituzionali”.

La spesa sanitaria pubblica e privata, nel nostro Paese, nel 2022 ha raggiunto l’8,8 per cento del Pil, posizionandosi sotto ai 15 principali Paesi europei e alla media Ocse. Nel 2024 è il 6,4 per cento del Pil.

Lo sappiamo, le risorse non bastano mai, vanno gestite «nel rispetto delle compatibilità finanziarie» (articolo 1 comma 3 del Dlgs 229/1999). Sono considerevoli: la spesa sanitaria pubblica e privata nel 2022 ha raggiunto l’8,8 per cento del Pil, posizionandosi sotto ai 15 principali Paesi europei e alla media Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (9,2 per cento). Nel 2024 la spesa sanitaria pubblica ha raggiunto i 134 miliardi di euro (6,4 per cento del Pil). Sono quantità che non dicono “come vengono gestite”, non parlano di costo/efficacia, non entrano nel merito della trasformazione del valore a disposizione. Cosa sono i manager? L’imprenditore Raul Gardini rispondeva «sono cani da riporto» (era un cacciatore), si riferiva in particolare a quelli che rispondono solo alla proprietà e non anche agli obiettivi di sviluppo economico e sociale. Nel privato avviene mettendo al primo posto gli utili a breve, a costo di far fallire l’azienda loro affidata. È un rischio anche per le aziende pubbliche, quando chi le dirige risponde solo alla committenza istituzionale e non anche a quella sociale.

Stiamo vivendo una crisi di fiducia nella possibilità stessa di bilanciare i diritti con i doveri, valorizzando il concorso al risultato di tutti, anche delle persone destinatarie delle cure. È vita facile per un mercato assicurativo che 25 anni fa poteva contare solo sul 5 per cento di popolazione assicurata, mentre oggi la percentuale ha superato le due cifre. Misura la caduta di fiducia dei cittadini nella possibilità di tutelare i diritti finanziati dalla solidarietà fiscale. Ma, in questo andamento, non mancano professionisti sanitari che, con umanità e responsabilità, personalizzano le cure, anche quando le loro organizzazioni non hanno umanità nei loro confronti.

Può in definitiva sembrare una sfida impossibile, soprattutto per le persone e le famiglie costrette a comprare nel mercato le mancate risposte istituzionali. In Italia, la percentuale di popolazione coperta da assicurazioni e fondi privati ha raggiunto il 30 per cento. La Costituzione non le autorizza a rassegnarsi al maltrattamento istituzionale causato dalle non risposte. Ma a chi conviene? Non conviene ai 625 mila occupati in sanità pubblica. Non conviene a chi li governa. Anche le “patologie organizzative” del nostro servizio sanitario nazionale possono e vanno curate, soprattutto quando sono affette da perdita di contatto con la realtà, quando si ritrovano nevrotiche, compulsive, autoreferenziali… cioè incapaci di essere servizi per le persone e con le persone.

fonte: ladifesadelpopolo

Tiziano Vecchiato – direttore Fondazione Emanuela Zancan

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