Questa tesi si è rispecchiata in modalità radicalmente diverse di articolare gli incontri terapeutici con i pazienti; e questo perché, mettendo fra parentesi la malattia, lo psichiatra può finalmente avvicinarsi alla sofferenza psichica guardando alla sua fragilità e alla sua umanità. La psichiatria manicomiale, che non è nemmeno oggi scomparsa nel concreto agire di non pochi psichiatri, si radicava nella esclusiva attenzione alla malattia, e non alla soggettività, alla interiorità, alla storia della vita, alla persona, di chi è curato. Questo cambiamento di paradigma si è accompagnato alla rinascita delle emozioni dello psichiatra nella conoscenza e nella cura della sofferenza psichica: non più considerata come qualcosa da analizzare con la freddezza di un chirurgo che taglia, e ricompone, un organo malato, ma come una ferita viva e sanguinante da arginare con la pazienza, e con la immedesimazione nella storia della vita dei pazienti. Senza questo cambiamento di paradigma la follia non si sarebbe fatta conoscere a Basaglia, e agli psichiatri che ne seguano il cammino ermeneutico e conoscitivo, nella sua fragilità e nella sua umanità, nella sua nostalgia di gentilezza e di solidarietà.
A queste considerazioni teoriche sulla conoscenza emozionale degli stati d’animo delle persone, e delle persone che soffrono in particolare, era giunta nei primi anni del secolo scorso la fenomenologia: questo indirizzo filosofico dalle molte possibili varianti: riunificate da un comune denominatore: quello enunciato da Basaglia: solo nel mettere fra parentesi ogni conoscenza e ogni esperienza si coglie il senso radicale della vita. Sono considerazioni complesse, e nondimeno necessarie, se vogliamo conoscere il pensiero teorico di Basaglia nelle sue ascendenze culturali, così trascurate, e così dimenticate, senza le quali la sua psichiatria non si sarebbe realizzata nella sua straordinaria ricchezza umana e terapeutica. Solo mettendo fra parentesi la malattia, alla psichiatria è possibile entrare in relazione, in una immediata relazione di cura, con chi sta male, con chi si misura con l’angoscia e la tristezza, le inquietudini dell’anima, i deliri e le allucinazioni, e che solo così si sente aiutato, e compreso nel suo dolore.
Questo mio discorso intende indicare quanta importanza Franco Basaglia abbia dato alle emozioni, alla sensibilità, alle capacità di attenzione e di ascolto, di immedesimazione e di introspezione, di speranza, nel fondare una psichiatria clinica che sconfinasse continuamente nella psichiatria sociale. La psichiatria o è psichiatria sociale o non è psichiatria, e Basaglia lo ha dimostrato, ma il suo magistero non si comprende fino in fondo se non viene immerso, lo vorrei ancora ripetere, nelle sue sorgenti teoriche. Cambiare radicalmente le strutture costitutive del fare psichiatria non basta se esse non sono nutrite di passione e di sensibilità, di apertura al dolore degli altri, e di decifrazione del senso che si nasconde anche nei deliri e nelle allucinazioni. Sono cose che, ripensando ai quarant’ anni che ci separano dalla approvazione della legge (Norberto Bobbio l’ha definita una fra le più importanti nella storia della Repubblica), dovrebbero essere tenute sempre presenti: premesse necessarie alla realizzazione di una psichiatria che conosca e rispetti fino in fondo la dignità della sofferenza psichica. Sono cose che mi è sembrato necessario rimettere in evidenza in queste mie ulteriori riflessioni su di una legge che nessun altro paese ha avuto la forza e il coraggio di realizzare.
Eugenio Borgna *Primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara
fonte: la Repubblica