La riabilitazione ai tempi del Coronavirus. di Mariangela Mari (Covid-19 cronache di resistenza n. 11)

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La riabilitazione ai tempi del Coronavirus. di Mariangela Mari

Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di Mariangela Mari, Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica alla Rems di Spinazzola

«E se fossi io il Coronavirus?…. Devo morire così il mondo sarà salvo e non avrò più paura che qualcuno possa inseguirmi e uccidermi al posto mio».

E così che Nicola (nome di fantasia), il nostro giovanissimo Nicola, ha detto quando, all’ennesima notizia sui giornali e nei tg in tv di questi giorni, la sua mente ha elaborato a suo modo la notizia dell’incredibile e surreale pandemia che sta coinvolgendo il Paese.

E gli altri utenti della R.E.M.S.? All’improvviso, vedendoci tutti bardati, hanno creduto fossero loro portatori del virus e noi a rischio di contagio. La fatica più dura è stata quando gli abbiam dovuto spiegare che non avrebbero visto i loro famigliari, per chi ne ha; non avrebbero ricevuto pacchi o regali di compleanno; e nemmeno incontrato gli esperti, il prete, i volontari per un po’… PER UN PO’.

E allora ecco: quanto dura «un po’»? Beh di fatto nemmeno noi lo sappiamo e una delle cose più importanti da fare, soprattutto con i pazienti con un disagio psichico, è di non dire mai bugie.  Perciò gli è stato chiesto di pazientare fino a che Giuseppe (Conte) non ce lo dice. E loro stanno avendo pazienza, aspettano che questo brutto male vada via, ma non è facile per niente, anzi. Ci è toccato rimboccarci le maniche e riorganizzare le giornate ancor di più con attività riabilitative diverse e anche nuove: abbiamo raccontato favole per grandi e piccini che attualmente sono trasmesse sul canale Youtube a cadenza settimanale; abbiamo festeggiato onomastici e compleanni con torte preparate dai nostri operatori; stiamo continuando i nostri incontri di social skills training per apprendere o recuperare abilità sociali compromesse; ci stiamo mettendo in contatto con il nostro istruttore di ginnastica che, con chiamata Whatsapp, tiene lezioni interattive allenandoci per due volte a settimana; continuiamo la lettura di un libro sulla vita dell’ex Presidente degli Stati Uniti d’America, Obama, in diretta telefonica con una volontaria della città che ci accoglie, Spinazzola, con tanto di cassa e vivavoce così da poterlo commentare; leggiamo il nostro quotidiano per discuterne le notizie, evitando di trattare, almeno in quel momento, sempre lo stesso tema, il Coronavirus; guardiamo film come se fossimo al cinema.

In effetti i nostri utenti non si sono del tutto accorti di quello che sta accadendo fuori poiché loro “a casa ci restano” tutti i giorni. Non escono per motivi diversi dal virus, hanno una misura di sicurezza da rispettare e, salvo per alcuni che già usufruivano di permessi all’esterno, il cambiamento l’hanno visto solo in noi, dalle distanze mantenute e dalle mascherine indossate.

Potevamo decidere, a fronte di una così tale circostanza, di “restare a casa” in questo momento così delicato per chi ancor di più di delicato ha tanto, soprattutto la sua mente? Beh io credo proprio di no, anzi, è stato ed è doveroso esserci per arginare quell’effetto distruttivo che alcuni pensieri provocano, scatenando reazioni improvvise ed imprevedibili, sfiorando il rischio di ricadute.

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