Un diario social al gusto di caffè
«Provare a raccontare un’emergenza da parte di chi è sempre stato in emergenza, per tante ragioni, anche per una stigmatizzazione che è rimasta nel tempo. Questo diario è il nostro messagge in a bottle verso il mondo esterno». Enzo Cuomo, pedagogista, tecnico della riabilitazione psichiatrica e coordinatore per la Cooperativa “Era” della “Bailaidera”, struttura residenziale per persone con sofferenza psichica di via Adriano a Napoli, racconta così la trasformazione della pagina Facebook “voci dal manicomio” (il nome è quello del giornalino che nacque con Salvatore di Fede nel manicomio “Leonardo Bianchi” di Napoli, negli anni della sua dismissione, quando lo stesso Cuomo vi teneva laboratori teatrali): dal 10 marzo, questo spazio social è diventato un diario quotidiano della vita di ospiti e operatori di questa struttura ai tempi del coronavirus: «In realtà noi non siamo mai stati social, ma ora abbiamo compreso l’importanza di descrivere quell’elemento relazionale che si è strutturato in tutti questi anni e che in questi momenti è diventato ancora più importante.
Lo abbiamo fatto» dice Cuomo «anche perché in tanti, nel mondo dell’assistenza, sia pubblica che del privato sociale, all’inizio della pandemia, per comprensibili preoccupazioni, avevano reagito interrompendo i rapporti con i pazienti, ponendo un distanziamento relazionale, alcuni addirittura mettendosi in malattia o in ferie. Il nostro gruppo, invece, ha deciso di fare fronte comune, di restare al proprio posto, di dimostrare che, con i dovuti accorgimenti, si possono, anzi si devono mantenere tutte le relazioni di cura che sono fatte, innanzitutto, di momenti di condivisione quotidiana».
Così, con Enzo, Sergio, Stella, Lucia, Raffaele, Antonio, Federica, Paolo, Bruno, Daniele, Flora, Francesca hanno deciso di proseguire il proprio lavoro e dar vita a questo racconto on line: «Tutti noi, con gli ospiti della residenza, abbiamo deciso di realizzare questo diario quotidiano, per dimostrare, anche e soprattutto a chi svolge professioni di cura, che si può fare, si può continuare a vivere la relazione anche durante la pandemia, provando a conciliare le esigenze di sicurezza con le necessità, i bisogni delle persone più fragili». Immagini delle attività che si realizzano, foto di gruppo, riflessioni, sono diventate testimonianza di vita quotidiana di chi è da sempre ai margini dell’insieme sociale, mostrando anche quei piccoli momenti che, come il caffè, sono parte essenziale della vita in comunità: «La nostra moka è diventata la protagonista principale dei racconti» ci dice sorridendo Cuomo «Il momento caffè è un vero e proprio rituale relazionale, chi lavora in questi contesti conosce bene la sua importanza, che in questi momenti è ancora maggiore.
In realtà, riscontriamo non solo piena collaborazione da parte di tutti gli ospiti, con cui, dall’inizio, abbiamo condiviso specificità e necessità determinate dal rischio contagio, ma anche un rafforzamento del legame di comunità, un prendersi cura l’uno dell’altro a fronte di una piena consapevolezza del momento che stiamo vivendo, pure a fronte di alcune rinunce e limitazioni». Certo non sono mancati i momenti difficili, si sono verificati anche stati febbrili di alcuni ospiti, notti di ansia, la necessità di effettuare i tamponi a tutti (poi, fortunatamente, sono risultati tutti negativi), ed anche questo vissuto è stato parte del racconto sul diario social: «Molti hanno nascosto eventuali situazioni di difficoltà» afferma Enzo Cuomo «noi, invece, abbiamo ritenuto importante non solo denunciarlo alle autorità competenti in modo da avere i tamponi, ma anche raccontarlo. Anche in questo caso, i nostri ospiti hanno dimostrato grande responsabilità e pure ironia. A vedere i medici vestiti come astronauti atterrati nel nostro mondo, qualcuno ha detto: “che bello ci trattano come i calciatori”, e tutti hanno voluto fare i tamponi ritualizzando anche questo momento.
Fortunatamente, i risultati sono stati tutti negativi, eppure c’è chi continua a pensarci come una “struttura covid”, è il prezzo della trasparenza e dell’onestà». Parte dei racconti di questa quotidianità in quarantena continua ad essere dedicata alle uscite, cui, con i dovuti accorgimenti, senza poter utilizzare più il pulmino e contingentati, non si è voluto rinunciare: «Per noi le uscite sono parte essenziale del percorso terapeutico» ci spiega il nostro interlocutore «Alcuni responsabili, soprattutto all’inizio, volevano vietarle, ma noi abbiamo insistito perché l’impossibilità di uscire avrebbe rafforzato processi di cronicizzazione e istituzionalizzazione. Poi le uscite sono state uno strumento essenziale anche per mostrare e far comprendere a tutti gli ospiti cosa significasse realmente questo momento, e alcuni oggi rinunciano autonomamente perché trovano noioso uscire in un territorio deserto o perché “cedono” il loro turno a chi ne ha maggiore necessità.
Fortunatamente, non abbiamo avuto reazioni negative di possibili “cacciatori di untori”, gli unici con cui si è creata qualche difficoltà sono alcuni che continuano a dedicarsi a traffici illeciti: in quarantena, in questi territori, chi spacciava continua a farlo, e non vede di buon occhio persone che, uscendo, potrebbero attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Certo non ci facciamo spaventare». Il rapporto con il territorio è sempre stato un punto saldo di questa comunità che, fin dal nome (la traduzione sbagliata di “ballerina” in portoghese), rappresenta un po’ un’anomalia nel complesso universo delle strutture residenziali, molte delle quali hanno finito col riproporre logiche e prassi di piccoli manicomi «Siamo perfettamente consapevoli che questa tipologia di strutture andrebbero completamente rivisitate, soprattutto a fronte di quello che in molti casi, tradendo lo spirito della riforma, sono diventate» afferma con onestà Enzo Cuomo «Si dovrebbe lavorare per l’integrazione della persona con il territorio e non per la residenzialità assistenziale, le risorse andrebbero allocate in maniera più costruttiva, insistendo su un supporto volto all’autonomia.
Gruppi appartamento, budget di cura, progetti terapeutici individualizzati rappresentano strumenti che sono a disposizione e andrebbero utilizzati. In troppi casi, anche le strutture intermedie residenziali sono diventate nuove forme di istituzionalizzazione ed espulsione dal contesto sociale. Noi cerchiamo di lavorare diversamente e fondamentali, in questo senso, sono il rapporto collaborativo con i servizi pubblici e il supporto del comitato dei familiari, che partecipa attivamente e supporta le nostre attività fin dalla nascita di questa struttura». Orami sono 20 anni che “Bailaidera” esiste, nata con la dismissione del Bianchi di cui ospita ancora otto ex internati. Ci appare significativo che un diario dalla quarantena restituisca un racconto anche a loro.
Antonio Esposito