Il Piano SocioSanitario Integrato Lombardo 2019-2023. Note sui servizi di salute mentale, salute in carcere, REMS nella Regione Lombardia. di Luigi Benevelli

Il Piano SocioSanitario Integrato Lombardo è un documento privo di indicazioni circa progetti con adeguate risorse dedicate, in cui si sorvola sulla condizione e sulle grandi difficoltà in cui versano i servizi di sanità pubblica della Regione. Colpisce la scarsa consapevolezza dei principi su cui si sono basati il movimento che ha portato al Servizio sanitario nazionale, in particolare il tema del rapporto fra esercizio della salute e territorialità, e il movimento che ha portato alla chiusura dei manicomi: va osservato al riguardo che a partire dal 1978, anno della 180 e della istituzione del servizio sanitario nazionale, la locuzione salute mentale ha sostituito il termine di psichiatria nella denominazione ufficiale dei servizi pubblici di assistenza psichiatrica.

Per questo credo sia utile in premessa fare chiarezza sulle parole che si usano per evitare fraintendimenti.

Due premesse

  1. Cosa si intende per salute, salute mentale e per psichiatria

La salute non è qualcosa che si vende e si compra, ma un progetto non delegabile cui contribuisce la cooperazione di una grande quantità di soggetti.

Le persone con 1disturbo mentale soffrono di disabilità e sono oggetto di pregiudizio, stigma e discriminazione in tutto il mondo. Pertanto sono più vulnerabili delle persone che soffrono di malattie del corpo alla violazione dei diritti civili ed umani e alla non-equità negli accessi e nelle disponibilità di servizi di tutti i tipi.

Le persone con disabilità psichiche non hanno voce nella maggior parte dei paesi e, a differenza di altri gruppi di autotutela, raramente partecipano ai tavoli dove si discute delle politiche assistenziali sanitarie che li riguardano.

L’esperienza della de-istituzionalizzazione, in particolare della chiusura dei manicomi, ha mostrato la grande importanza delle interazioni fra le dimensioni biologica, psicologica, antropologica,storico-sociale nell’evoluzione dei disturbi mentali e come anche l’offerta del sistema sanitario sia parte del disturbo sociale del paziente.

Fra le definizioni di “salute mentale” cito quella recente adottata dal “Comprehensive Mental Health Plan 2013-2020” adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a New York nel 2013, per il quale salute mentale è lo stato di benessere nel quale le persone danno realizzazione alle loro capacità, sono in grado di far fronte alle normali difficoltà della vita, possono lavorare con buoni risultati e profitto e sono capaci di dare il loro contributo alle proprie comunità.

Mentre le psichiatrie ricercano la curabilità intesa come ripristino di una Ragione astrattamente standardizzata, il lavoro per la salute mentale persegue la guarigione come esperienza di vita. Per questo nel lavoro per la salute mentale la quantità di risposte terapeutiche disponibili è molto maggiore ed ha tempi di innovazione molto più veloci. La persona sofferente è risorsa terapeutica, persona esperta e il sapere suo e della sua famiglia non deve essere ignorato e disperso, ma entrare a pieno titolo nei servizi di salute mentale a disposizione degli altri. La rete naturale delle relazioni è strumento della guarigione. (Giovanni Rossi).

Con il contributo determinante delle persone che hanno avuto esperienza di disturbi mentali, il paradigma “salute mentale” ha innovato la definizione di guarigione intendendola come “guarigione personale” piuttosto che “guarigione clinica”.

Il servizio pubblico di salute mentale privilegia l’obiettivo che la persona con diagnosi psichiatrica conduca un’esistenza, una vita quotidiana che siano le migliori possibili, degne di essere vissute e comunque si relaziona con gli utenti considerandoli come partner. Qui è fondamentale il dispiegarsi del consenso informato.

Fare salute mentale comporta cambiamenti nelle politiche , nel finanziamento dei programmi, nella pratica quotidiana dei servizi, nello status dei medici, nel riconoscimento del ruolo dei diritti degli utenti e delle famiglie, del ruolo delle comunità, dell’ integrazione fra settori diversi di sanità, assistenza, economia, Codici legislativi.

Promuovere e trasmettere “salute mentale” significa rivisitare il termine “cura” vs “prendersi cura”, proporre la centralità della relazione interumana, esplorare gli approcci della “medicina narrativa”, collocare al centro la posizione del portatore del disturbo in quanto “persona esperta” della propria sofferenza, assumere la “contrattazione” fra servizio/paziente/famiglia –reti comunitarie di riferimento.

Il servizio pubblico orientato alla salute mentale conduce studi epidemiologici, sugli esiti e sulla qualità dei servizi; fa ricerca sul ruolo non solo dei fattori clinici , ma anche dei fattori e extraclinici nei percorsi di vita e di guarigione delle persone (recovery).

Il lavoro per la salute mentale si basa sull’accompagnamento, sulla ricerca del consenso, sul rispetto della dignità della persona e l’attenzione a ridurre lo stigma e i rischi di marginalità sociale, abitativa, lavorativa. È possibile, si può e deve imparare a farlo sempre, non è né necessario né terapeutico legare le persone e tenere chiuse a chiave le porte degli SPDC e delle residenze.

  1. Cosa si intende per Territorio/Comunità locale

Il Servizio Sanitario nazionale adempie alle sue finalità se affonda le sue radici nella dimensione locale dove riesce ad esprimere la sua forza e garantire una reale vicinanza alle esigenze della popolazione. Per questo deve essere svincolato da un potere decisionale tutto incentrato sul controllo economico delle prestazioni e lontano dalla conoscenza del territorio. È quindi compito anche dei Sindaci l’esercizio di una forte azione di vigilanza perché non siano disperse esperienze proficue a livello locale e sia sempre garantito un alto livello di assistenza. Tutto ciò rappresenta anche un contrappeso democratico allo stato delle cose presenti. La stessa democrazia, infatti, non può essere una pratica ridotta alle sole procedure elettorali.

Grande ruolo nella cura, nella qualità della vita quotidiana e nei destini possibili delle persone con diagnosi psichiatrica hanno quindi Comunità competenti colte, resilienti, informate delle risorse a disposizione, raccolte intorno ai loro Municipi. Esse, infatti, conoscendo le risorse e i bisogni sociali, lavorativi e residenziali nel proprio territorio, sono capaci di costruire e contrattare con gli utenti percorsi personalizzati, finanziati dai budget di salute, di offrire una efficace presa in carico a persone che, come noto, sono fra le maggiormente esposte allo stigma sociale, fra le più discriminate nel mercato del lavoro, immobiliare e nei contesti sociali e culturali

É per queste ragioni e sulla base di tali premesse che il progetto obiettivo nazionale Tutela della salute mentale 1994-96 (ultimo atto di programmazione nazionale), prevedeva che ogni D.S.M., per poter assicurare le attività di prevenzione, cura, compresa la risposta all’emergenza e al ricovero ospedaliero, riabilitazione e reinserimento sociale avrebbe dovuto disporre di uno o più moduli-tipo riferiti a bacini di utenza non superiori a 150.000 abitanti, dotati almeno di:

un Centro di Salute Mentale (CPS in Lombardia), sede organizzativa del Dipartimento con attività ambulatoriali e domiciliari;

un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (S.P.D.C.) dotato di un posto letto ogni 10.000 abitanti e con non più di 15 letti;

strutture per attività in regime semiresidenziale (centro diurno e/o day hospital) con almeno un posto ogni 10.000 abitanti;

strutture per attività in regime residenziale, ciascuna con non più di 20 posti letto;

un organico di almeno un operatore per 1.500 abitanti, comprendendo in tale rapporto psichiatri, psicologi, infermieri professionali, assistenti sociali, educatori, ausiliari o Operatori Tecnici di Assistenza (O.T.A) e personale amministrativo adeguato per numero e qualifica.

I servizi pubblici di salute mentale italiani hanno dovuto poi affrontare:

  1. le nuove sfide dell’assistenza per la salute mentale di persone migranti, qui scontando la diffusa ignoranza fra gli operatori dei saperi dell’etnopsichiatria,

  2. l’impegno nei servizi sanitari delle carceri,

  3. la responsabilità, dopo le leggi 9/2012 e 81/2014, dei progetti di salute mentale dei pazienti con diagnosi psichiatrica autori di reato.

Tale carico di compiti e responsabilità vecchie e nuove è stato accompagnato da un progressivo disinvestimento non solo di risorse, ma anche di intelligenza, attenzione e rispetto da parte della politica: come ha evidenziato il Rapporto sulla salute mentale del Ministero della Salute presentato nel dicembre 2016, i servizi di salute mentale italiani hanno subito negli ultimi anni la riduzione del 40% del personale, con una spesa ben al di sotto il 5% del Fondo sanitario nazionale.

Questi dati, insieme al diffuso permanere della pratica delle contenzioni meccaniche e farmacologiche negli SPDC ci dicono eloquentemente dell’affanno in cui operano da molto tempo i DSM. È evidente come una tale situazione sia alla lunga insostenibile e vi sia urgenza di un grande investimento di risorse, personale, “manutenzione”.

Ma non si tratta solo di criticità organizzative e finanziarie, perché pesano negativamente i limiti delle culture professionali e le carenze del sistema formativo universitario, sia dal punto di vista quantitativo (numero chiuso nelle facoltà mediche, nelle scuole di specializzazione, nelle scuole per infermieri) che qualitative (v. competenze etnopsichiatriche).

Da qui derivano l’urgenza e la necessità che:

– i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) siano dotati di adeguate risorse di personale aperti 24 ore al giorno, e comunque almeno 12 ore al giorno, tutti i giorni;

– siano potenziate le attività comunitarie e al domicilio, ridotte quelle ambulatoriali;

– sia valorizzato il protagonismo di comunità locali competenti, colte, informate che abbiano voce e siano ascoltate nelle Aziende sanitarie;

– siano adottate la contrattazione e la costruzione insieme agli utenti di progetti personalizzati di salute, finanziati con i budget di salute che mettano al centro la persona con le sue risorse, i suoi bisogni, i suoi possibili progetti di vita;

– sia potenziata la presenza di operatori del DSM nelle strutture penitenziarie;

– i DSM assumano la responsabilità dei percorsi di salute mentale dei pazienti autori di reato con diagnosi psichiatrica, percorsi che possono attuarsi solo in luoghi di prossimità della residenza della persona;

– sia resa obbligatoria la rigorosa valutazione degli esiti delle attività e degli interventi;

– sia avviata e potenziata la formazione dei professionisti della salute mentale e nei campi dell’etnopsichiatria e della psichiatria transculturale;

– si rifletta seriamente sul sistema formativo in vigore nei Corsi di laurea di Medicina e nelle Scuole di specializzazione perché si misuri con i saperi della salute mentale e non solo con quelli della psichiatria biologica e farmacologica caratterizzati da nosografie descrittive e modelli di causalità che ignorano i contesti di vita quotidiana e relazionali delle persone;

– si proceda alla revisione del Codice Penale Rocco del 1930 con il riconoscimento del diritto al processo e dell’imputabilità per il paziente con diagnosi psichiatrica autore di reato e l’abrogazione del “doppio binario”.

Insieme a tutto questo, la diffusione delle buone pratiche sia sostenuta dalla ripresa del metodo della programmazione sanitaria e sociale a livello nazionale, regionale e locale.

Un richiamo infine perché le carte dei diritti si traducano in concreti diritti nella vita quotidiana delle persone con disturbi psichici.

Il Piano Socio Sanitario Integrato della Regione Lombardia (PSL) 2019-2023 licenziato dalla Giunta Regionale, indica come priorità generali di sistema:

investire sulle relazioni di cura dando centralità alla dimensione fiduciaria, indispensabile premessa per la qualificazione del sistema istituzionale, sia nell’interazione tra professionista e azienda che negli scambi tra cittadino e offerta;

sviluppare e potenziare soluzioni organizzative basate sui processi trasversali di cura. Il welfare regionale deve essere meno settoriale e i processi d’integrazione dovranno coinvolgere la rete d’offerta pubblica e quella private;

potenziare e ricomporre la filiera dei servizi domiciliari e territoriali sanitari, sociosanitari e socioassistenziali, per garantire ai cittadini lombardi e alle loro famiglie la presa in cura integrata presso il proprio domicilio;

supportare la famiglia e i suoi componenti in condizione di fragilità e vulnerabilità sociale al fine di garantire una presa in carico complessiva anche attraverso l’individuazione di un pacchetto di prestazioni flessibili e personalizzate.

Di qui la proposta di un nuovo assetto organizzativo che concretizzi i seguenti indirizzi:

la continuità dei percorsi di cura dal territorio all’ospedale e dall’ospedale al territorio;

l’integrazione dei servizi sanitari e sociosanitari;

la centralità delle cure territoriali al fine di assicurare l’assistenza nel proprio ambiente di vita;

la presa in carico dei pazienti cronici, polipatologici, fragili e dei disabili al fine di ricomporre le risposte ai bisogni espressi, per ritardare le condizioni di non autosufficienza e la istituzionalizzazione;

la differenziazione tra il ruolo di governance regionale, la funzione di attuazione della programmazione regionale da parte delle Agenzie Territoriali per la Salute e le funzioni erogative, ospedaliere e territoriali, delle ASST e dei soggetti privati e accreditati, in un’armonica cooperazione tra gli stessi;

la centralità della persona, intesa come libertà di scelta e corresponsabilità nei percorsi di cura;

il ruolo delle cure primarie, snodo centrale del sistema per la sua funzione di promozione della salute, di diagnosi precoce, di cura delle acuzie e di assistenza al paziente cronico;

il ruolo della comunità, delle associazioni dei pazienti e del terzo settore.

Il documento sviluppa poi capitoli specifici dedicati a Disabilità e non-autosufficienza; Cronicità, Salute mentale e Dipendenze con capitoli dedicati a Psichiatria, NeuroPsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza; Sanità penitenziaria, con un paragrafo dedicato al problema REMS.

É sottolineata la necessità di integrare fra di loro non solo Ospedale e Territorio, ma anche Psichiatria adulti, Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Psicologia Clinica e Dipendenze, soprattutto ai fini della più possible precoce presa in carico delle situazioni di sofferenza mentale e dipendenza patologica.

La principale problematica rilevata relativa all’ambito psichiatrico riguarda il fatto che attualmente oltre il 70% della spesa riguarda il sistema della residenzialità, sistema che coinvolge meno del 5% dei pazienti in carico ai DSMD: situazione definita inaccettabile.

Si raccomanda di individuare meccanismi centrati sui percorsi (ad esempio sperimentazioni budget di salute) che riportino l’asse dell’intervento sulla territorialità e perseguano obiettivi di salute mentale in collaborazione “con le diverse agenzie presenti sul territorio (istituzionali, formali, imprenditoriali, associazionistiche) allo scopo di favorire l’orientamento e diversi percorsi di inserimento lavorativo per promuovere l’autonomia sociale ed economica delle persone fragile”.

Come culture professionali e scientifiche di riferimento sono indicate quelle della “Carta dei Servizi dei Pazienti con Disturbi Psichiatrici e Disturbi da Uso di Sostanze e Addiction”( Roma Ottobre 2017) redatta da Società Italiana di psichiatria (SIP), Federazione Italiana degli operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle dipendenze (Fe Oer SerD) e da Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza (SINPIA), le tre principali Società Scientifiche del settore.

Quanto alla Sanità penitenziaria, che comprende servizi di medicina generale, di pronto intervento, di medicina specialistica, di salute mentale e per le dipendenze, proprio in ambito carcerario è necessario sviluppare i massimi divelli di integrazione tra salute mentale e dipendenze.

É ripresa la Delibera della Giunta regionale n° X/4716 del 13/01/2016 “La rete regionale dei servizi sanitari penitenziari. Definizione e linee di indirizzo operative”, siglata da Regione Lombardia e dall’ Amministrazione Penitenziaria. In particolare, per quanto riguarda la tutela della salute mentale e le dipendenze si propone di garantire una diffusa assistenza psichiatrica e psicologica, anche per evitare il rischio suicidario, e la cura delle dipendenze. Particolare attenzione si raccomanda alla salute dei detenuti immigrati, “rafforzando la mediazione culturale, e ai servizi che tutelano il passaggio dalle cure carcerarie alle cure territoriali”.

Non si fa accenno al numero delle diagnosi di disturbo N.A.S. “non altrimenti specificato” che riguardano persone detenute con grave sofferenza mentale, senza tuttavia che i loro sintomi rientrino in specifiche patologie psichiatriche: è un problema molto serio perché la diagnosi di NAS impedisce una “presa in carico” psichiatrica e consegna la persona sofferente alla gestione dei soli operatori penitenziari.

Sono citate le equipe forensi che rappresentano sul territorio l’interfaccia socio sanitaria di prossimità con le autorità e le istituzioni coinvolte nella gestione del paziente autore di reato e sono costituite da personale con competenze clinico-terapeutiche, assistenziali, riabilitative e sociali, finalizzate a dare risposte per i cittadini destinatari di provvedimento dell’autorità giudiziaria. Si raccomanda di rafforzare il loro funzionamento, anche se non si dice dice quante siano quelle operanti sul territorio regionale.

Quanto alle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) se ne parla in termini generali senza soffermarsi sulla situazione lombarda caratterizzata, come noto, dalla scelta della Regione di concentrare tutte le REMS negli edifici dell’OPG di Castiglione delle Stiviere, rimasto basato su una organizzazione per reparti differenziati secondo il criterio (manicomiale) dell’intensità dell’assistenza e della custodia che ignorano i riferimenti e le relazioni territoriali. É una situazione inaccettabile che perdura in violazione della legge 81/2014 alla quale bisogna urgentemente rimediare.

Proponiamo per questo la riorganizzazione dei reparti REMS di Castiglione delle Stiviere secondo criteri di territorialità in modo da facilitare le relazioni e la continuità delle relazioni degli operatori delle REMS castiglionesi con quelli delle equipes forensi e dei CPS di provenienza. Anche a tale fine è necessario e urgente che ogni ASST della Regione si doti della propria equipe psichiatrica forense.

Nelle settimane scorse, in contemporanea con il varo della delibera di Piano Sociosanitario integrato Lombardo della Giunta regionale, sono stati pubblicati i dati sui Servizi di salute mentale, Regione per Regione, riferiti al triennio 2015-171. Second tale report, la Regione Lombardia non ha presentato, nel triennio, variazioni nella rete dei servizi e nell’entità delle risorse umane ed economiche. In sintesi:

Il sistema di cura per la salute mentale in Lombardia presenta alcuni significativi punti di forza: contatto entro 14 gg dalla dimissione, ridotti tassi di ospedalizzazione per TSO e durata del trattamento residenziale inferiore alla media nazionale (nonostante gli ultimi 2 indicatori presentino un trend in crescita). Tra i punti di debolezza meritano attenzione, tra i dati strutturali, il numero significativamente più basso di strutture territoriali; tra i dati funzionali, il ridotto accesso di nuovi casi (con un’incidenza trattata in ulteriore riduzione), anche di quelli caratterizzati da maggiore gravità. Complessivamente, i dati analizzati pongono all’attenzione della programmazione regionale una rilevante carenza dei servizi che si articolano sul territorio, una condizione di “saturazione” degli stessi ed una conseguente, minore accessibilità per i nuovi casi”.

Aggiungo a queste note che:

  • il numero degli operatori in servizio, medici e infermieri in particolare, è andato diminuendo e che il ricambio è diventato sempre più difficile in ragione della mancata formazione di numeri adeguati di professionisti da parte delle Facoltà di Medicina

  • quando c’è la disponibilità ad assumere, si tratta quasi sempre di “precari” che se ne vanno appena siano banditi i concorsi per l’assunzione in ruolo

  • questo comporta non solo l’impoverimento e la precarizzazione delle equipes curanti, ma anche, e soprattutto, l’interruzione della continuità delle relazioni e dei contatti fra utenti, famiglie e DSM e la riduzione della “presa in carico” alla consulenza farmacologica e all’emergenza. Vale a dire la perdita del radicamento territoriale.

In Lombardia, a causa delle scelte di sanità pubblica operate dalle Giunte Formigoni ad oggi,

  • i rapporti fra servizi di salute a base locale e i governi democratici delle comunità sono andati sempre più indebolendosi anche per la scelta di organizzare le attività sanitarie in Aziende di dimensioni sempre maggiori e, in scala, di Distretti sempre più grandi;

  • i servizi di salute mentale dei DSMD che dovrebbero essere ospitali e aperti almeno 12 ore al giorno per 6 giorni la settimana in modo da facilitare gli accessi, le relazioni e la continuità delle relazioni con le persone utenti, hanno visto sempre più ridursi gli orari di apertura, diventando di fatto ambulatori che lavorano su appuntamento;

  • la riduzione del numero degli operatori e l’elevato turn-over degli stessi produce la rottura della continuità delle relazioni fra operatori dei CPS e le persone, con la conseguenza che le relazioni si concentrano sempre più sulla prescrizione e e il controllo dell’assunzione dei farmaci;

  • ancora molto diffusa è la pratica di legare i pazienti negli ospedali.

È urgente rimediare.

Per chiudere, accompagnamento è una delle “parole-chiave” per definire i modi delle relazioni fra curanti, utenti, famiglie nel lavoro per la salute mentale:

E’ importante un gesto semplice per accompagnare nella quotidianità chi chiede e accetta di essere aiutato per riprendere in mano la propria vita. Accompagnare non è controllare, è mettersi a fianco, condividere la fatica; non è precedere e neanche seguire e neanche prendere in carico. È rimpiazzare il controllo con la presenza, la vigilanza con la cura, la sicurezza con la rassicurazione. È sostenere l’altro a sentirsi sempre più capace a condurre la propria vita. La salute mentale è un bene della comunità. In cammino”. (Domenico Castronovo, 2018)

Nota: la “delibera delle Regole” adottata in questi giorni si occupa di salute mentale, dipendenze, sanità penitenziaria nelle pagine da 124 a 135 (paragrafi 6.7 e 6.8). Essa propone scambi e raccolta di dati clinici e non, fittissime interrelazioni fra i servizi via web, muovendosi però su un terreno che ignora le basi sociali e ambientali della sofferenza e delle malattie e non prende in considerazione la dimensione “locale” e il ruolo dei Comuni nel lavoro di integrazione e governo del servizio sanitario pubblico nei territori e nelle comunità. É ancora ignorato il problema di aver scelto di concentrare tutte le REMS della Regione nell’area dell’OPG di Castiglione delle Stiviere.

1 Fabrizio Starace ( a cura di) La Salute Mentale nelle Regioni. Analisi dei trend 2015-2017 , «Quaderni di Epidemiologia Psichiatrica», n. 5/2019 pp. 13-15.

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