Uno dei limiti con cui devono confrontarsi le politiche di salute mentale nel nostro Paese è il particolarismo, ossia il restringere analisi e proposte operative all’ambito di specifica competenza tecnica o di appartenenza disciplinare, senza minimamente interrogarsi sull’impatto che le stesse hanno sul sistema globale che pretendono di governare.
La complessità del tema salute mentale, nelle sue declinazioni psicologiche, sociali, economiche, politiche, per citare solo le principali, mal si adegua tuttavia al riduzionismo dominante, con la conseguenza che anche le più approfondite proposte di miglioramento sono in genere condannate all’irrilevanza, rispetto al quadro generale di riferimento.
È per questo che il recente Rapporto Lancet su Salute Mentale Globale e Sviluppo Sostenibile, presentato a Londra il 9 e 10 ottobre 2018 nel corso della Conferenza Interministeriale sulla Salute Mentale, rappresenta un fondamentale punto di riferimento.
Il documento, prodotto da una folta Commissione di esperti mondiali coordinati da Vikram Patel (scarica qui la versione integrale)[1], pone la Salute Mentale in una visione strategica, ben al di là delle posizioni particolari o di categoria, proponendo la riformulazione di focus e priorità delle politiche di salute mentale all’interno del più ampio Programma delle Nazioni Unite denominato Sustainable Development Goals[2].
I “pilastri” su cui si fonda questa ridefinizione sono 4:
- la Salute Mentale è un “bene comune”, rilevante per lo sviluppo sostenibile in tutti i Paesi, indipendentemente dal loro status socioeconomico.
- I problemi di Salute Mentale esistono lungo un continuum, da condizioni di malessere lieve e limitato nel tempo a condizioni croniche, ingravescenti e severamente debilitanti, per cui un approccio diagnostico binario “non riflette accuratamente la complessità e la diversità dei bisogni di salute mentale dei singoli o della popolazione”.
- La Salute Mentale di ciascun individuo è il prodotto unico di fattori sociali e ambientaliche – specie durante le prime fasi della vita – interagiscono con i processi genetici, psicologici e del neurosviluppo.
- La Salute Mentale è un diritto umano fondamentaleper tutte le persone e richiede un approccio basato sui diritti per proteggere il benessere delle persone con disturbi mentali.
Non è la prima volta che la salute mentale viene indicata quale fondamentale diritto umano, né come “bene comune”. L’autorevolezza del contesto in cui il Rapporto è stato presentato e discusso, tuttavia, fa ritenere sia questa la prospettiva che in sede internazionale è considerata prioritaria per tutelare la salute delle persone con problemi di salute mentale. È anche evidente che ambiti come quello eziologico e diagnostico, centrali per un approccio biomedico, vengono considerati marginali e poco informativi, almeno allo stato attuale delle conoscenze e degli strumenti sviluppati (ad esito di impegnativi e costosi programmi nazionali – si pensi al DSM dell’American Psychiatric Association – ed internazionali – come quello che ha condotto alla definizione del capitolo dell’ICD dedicato alle malattie mentali). È appena il caso di chiedersi, alla luce di queste considerazioni, quale sia il reale impatto che la ricerca eziologica e la manualizzazione diagnostica hanno prodotto sulla salute mentale della popolazione.
Il Rapporto prosegue specificando le 6 azioni-chiave per la realizzazione di quest’agenda:
- I servizi di salute mentale dovrebbero essere implementati come componenti essenziali della copertura sanitaria universale…allo stesso modo, dovrebbe essere rimarcata l’importanza della salute fisica delle persone con gravi
disturbi mentali. - Devono essere affrontati gli ostacoli e le minacce alla salute mentale:la mancanza di consapevolezza del valore della salute mentale nello sviluppo sociale ed economico, la mancanza di attenzione alla promozione e protezione della salute mentale in tutti i settori, i forti vincoli sul lato della domanda di assistenza causati da stigma e discriminazione, e le crescenti minacce alla salute mentale causate da sfide globali come i cambiamenti climatici e le crescenti disuguaglianze.
- La salute mentale deve essere sostenuta dalle politiche pubbliche;queste azioni intersettoriali dovrebbero essere intraprese per impegnare le parti interessate nei settori dell’istruzione, dei luoghi di lavoro, dell’assistenza sociale, dell’empowerment di genere, dei servizi per i giovani, della giustizia penale e dell’assistenza umanitaria.
- Dovrebbero essere colte nuove opportunità, come quelle offerte dall’impegno innovativo di persone non specialiste ma formate, e dall’uso delle tecnologie digitali.
- Vi sono forti motivazioni economiche e sanitarie per aumentare gli investimenti in salute mentale;in attesa di risorse aggiuntive, è immediatamente praticabile un uso più efficiente ed efficace delle risorse esistenti, ad esempio attraverso la redistribuzione dei budget per la salute mentale dagli ospedali ai servizi di comunità e l’introduzione di programmi di intervento precoce.
- Infine, dovrebbero crescere gli investimenti in ricerca e innovazione sfruttando i nuovi approcci derivanti da genomica, neuroscienze, dalla ricerca sui servizi sanitari, dalla clinica e dalle scienze sociali
Insomma, una road map articolata, con orientamenti precisi ed argomentati ed una chiara impostazione di sistema. Crediamo che al di là della pletora pubblicistica (più o meno impattante) che investe il tema psichiatrico, questo documento costituisca un vademecum indispensabile per chiunque abbia ruolo e responsabilità di programmazione ed implementazione delle politiche pubbliche per la salute mentale, contro ogni particolarismo.
Riferimenti e note
1. Patel V, Saxena S, Lund C, Thornicroft G, Baingana F, Bolton P, et al. The Lancet Commission on global mental health and sustainable development. The Lancet 2018; 392(10157): 1553-98. DOI
2. SDGs, Obiettivi di Sviluppo sostenibile, un insieme di 17 obiettivi che impegnano i Paesi membri delle Nazioni Unite in azioni globali coordinate per il futuro dello sviluppo internazionale.
fonte: SIEP