Le parole del Papa a Rebibbia e gli appelli di Mattarella sullo stato delle carceri porteranno davvero a qualcosa? Bisogna iniziare con il risolvere il sovraffollamento.
“Aprire le porte significa aprire il cuore alla speranza” ha detto Papa Francesco nel carcere di Rebibbia. Dopo il presidente Mattarella e tanti appelli della società civile sullo stato delle carceri, avrà un maggiore ascolto il Papa? Secondo Platone “la mente non si apre se prima non si è aperto il cuore”.
Si apriranno i cuori dei politici per una qualche soluzione efficace come indulto o amnistia? Forme di liberazione anticipata, revisione delle leggi sulle droghe e un cambio di politiche migratorie, nessuna detenzione per madri con figli, rinuncia a decreti come quello “sicurezza” sarebbero una sorta di straordinaria illuminazione.
Per farlo occorre che si aprano tutti i cuori, onde evitare polemiche politiche e giornalistiche, rivendicazione di cambi di linea. Il cuore va molto oltre la “certezza della pena e le chiavi da buttare”, la “resa dello Stato” o il “buonismo”. La grazia è invisibile e silenziosa. Sarebbe un umano miracolo, laico e religioso insieme.
Si apriranno i cuori dei magistrati, i quali potrebbero adottare il numero chiuso nelle carceri? Non dovrebbe servire alcuna nuova legge per evitare, per ragioni di sicurezza, dignità e umanità oltre che professionali, di riempire oltre la capienza un qualsiasi luogo pubblico. Vale per gli ospedali, le scuole, i cinema, le strutture socio-assistenziali. Sarebbe un cambio rivoluzionario, al pari del “mi no firmo” pronunciato da Franco Basaglia nel manicomio di Gorizia di fronte al registro per le contenzioni meccaniche. Porterebbe a confrontarsi con il numero chiuso, con il limite ed obbligherebbe a gestire il turnover, accessi, urgenti e programmati, dimissioni e seguire la qualità dei percorsi. Potrebbe sbalordire il Papa e non solo. Trovare il modo per ridurre della metà i detenuti risolverebbe molti problemi. Anche della Polizia penitenziaria e di tutti coloro che in carcere vi vivono, sanitari compresi. Superare la posizione di garanzia di controllo per avere operatori che possano al meglio lavorare per il benessere e il recupero delle persone e non per sorvegliarle, punirle anche involontariamente in modo “supplementare” e “obbligarle” a vivere.
Pietro Pellegrini – Dipartimento Salute Mentale di Parma