Né fondi né idee chiare per far funzionare un servizio essenziale. I dipartimenti arrancano nella cronica mancanza di personale, l’assistenza zoppica o si interrompe del tutto. Un disastro per bambini e adolescenti. E nella mappa dei bisogni mancano i dati
Non è cambiato nulla: sui giornali se ne parla di più, sui social è un argomento popolare, eppure nei Dipartimenti di salute mentale – i luoghi nei quali lo Stato italiano offre cure pubbliche ai suoi cittadini che soffrono per un disagio psichico – le cose vanno come dieci o quindici anni fa. Come dopo la grande crisi economica e finanziaria, forse ancora peggio. «Assuefazione allo smantellamento», la chiama Fabrizio Starace, psichiatra, direttore del Dsm di Modena, che assieme ad altri colleghi e a rappresentanti di sindacati, associazioni, cooperative e società scientifiche il 7 e l’8 dicembre scorsi ha partecipato alla Conferenza nazionale autogestita per la salute mentale di Roma. Si sono confrontati su come il Servizio sanitario nazionale stia rispondendo a chi chiede assistenza psicologica o psichiatrica. Ed è una risposta gravemente carente, per gli adulti e ancor di più per i bambini e gli adolescenti. L’interesse manifestato dalla società italiana per la salute mentale dei giovani non ha trovato una corrispondenza in chi amministra la cosa pubblica: siamo ancora un Paese a economia avanzata – e in quanto tale, secondo gli esperti, dovremmo dedicare il 10% del budget sanitario pubblico alla salute mentale – ma in realtà ogni anno spendiamo in media il 3%, decimale più decimale meno. La conseguenza più evidente del sottofinanziamento è la carenza cronica di personale: psichiatri, psicologi, educatori, infermieri e tutte le figure necessarie a far funzionare i Dsm. Secondo l’ultimo Rapporto annuale del ministero della Salute a nostra disposizione, con dati che risalgono al 2022, il personale in questo settore ammontava a 30.101 unità. La Siep, Società italiana di epidemiologia psichiatrica presieduta da Starace, ha calcolato che se volessimo rispettare gli ultimi standard di personale definiti dall’intesa Stato-Regioni del 2022 dovremmo assumere 11.347 persone, per una spesa in più di circa 700 milioni di euro. Nel disegno di legge 1241 sulle prestazioni sanitarie, che da poco ha iniziato il suo iter al Senato, il ministero prevede all’articolo 11 il potenziamento dei Dipartimenti di salute mentale con l’assunzione di 214 unità nel 2025 e 33 nel 2026. Con la sanità in capo alle singole Regioni si presentano ovviamente alcune differenze nella spesa annuale e nel servizio offerto, ma il fenomeno non è neanche così pronunciato. «In qualche parte d’Italia funziona meglio, nella stragrande maggioranza però è un disastro», racconta Gisella Trincas, presidente dell’Unasam, la rete nazionale che riunisce oltre cento associazioni locali di pazienti dei servizi di salute mentale e dei loro familiari. Nelle situazioni in cui funziona meglio – precisa Trincas – questo avviene perché «nonostante le difficoltà, la carenza del personale e l’assenza di risorse, chi dirige quei servizi rimane portatore di una visione culturale e civile, di riconoscimento dei bisogni e dei diritti delle persone».