Quando il carcere si trasforma in manicomio: la tragedia della salute mentale in cella, tra suicidi, violenza e abbandono
di Maria Novella De Luca
Otto ore di copertura psichiatrica alla settimana ogni cento detenuti: una goccia nel mare della disperazione. Uno su tre ha disturbi mentali. A otto anni dalla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e il passaggio alle “Rems” la riforma è incompiuta. Nei penitenziari la malattia viene gestita con metodi carcerari. Sedazione, isolamento, contenzione. Franco Corleone: “Dobbiamo fermare l’apertura di nuovi manicomi criminali”.
Adesso il Sestante è chiuso. Il famigerato settore del carcere torinese Lorusso e Cutugno dove erano rinchiusi in condizioni brutali i detenuti con problemi psichiatrici, è finalmente smantellato. Era stata una denuncia di Susanna Marietti dell’Associazione Antigone nel 2021 a rompere il silenzio sulla vergogna di quel reparto, un vero e proprio manicomio di fatto, sul quale la procura di Torino ora indaga per almeno cento casi di maltrattamenti. Ricorda Susanna Marietti che per Antigone si occupa della salute mentale in carcere: “I detenuti erano abbandonati con i loro escrementi in celle al buio, nella sporcizia, come fossero mucchietti di stracci accucciati sulle brande, neutralizzati dai farmaci, con la bava alla bocca, gli occhi assenti. Nessuno che parlasse con loro, nessuno che li ascoltasse”.
Un detenuto su tre soffre di disturbi mentali
Il Sestante era una Atsm, ossia una sezione speciale, definita “Articolazione per la tutela della salute mentale“. In pratica un reparto per detenuti psichiatrici gravi, ce ne sono 32 nelle 200 carceri italiane, alcuni funzionano bene, altri, la maggioranza, denuncia Antigone che nel 2022 ha visitato 99 penitenziari in tutta Italia, sono “luoghi di sommo degrado”. Perché negli istituti di pena del nostro paese (e non solo) la salute mentale è una scommessa. “All’8,7% dei detenuti era stata diagnosticata una patologia psichiatrica grave, il 18,6% assumeva regolarmente stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi, mentre ben il 42,4% sedativi o ipnotici, il 18,9% erano tossicodipendenti in trattamento. A fronte di questo c’erano 8,3 ore la settimana di copertura psichiatrica ogni 100 detenuti e 17,2 ore la settimana di servizio psicologico”. Nel 2022 sono stati 84 i suicidi dietro le sbarre, un numero enorme. L’Oms ha poi lanciato un allarme sconvolgente: un detenuto su tre in Europa soffre di disturbi mentali.
È questa la fotografia, impietosa, del rapporto tra malattia mentale e carcere, a otto anni dalla chiusura nel 2015 degli ospedali psichiatrici giudiziari, i terribili Opg: la gestione dentro e fuori gli istituti di pena di chi commette un reato avendo una patologia psichiatrica appare di una difficoltà estrema. Con situazioni che tornano ad avvicinarsi, sempre di più, a logiche di contenzione e segregazioni. “La riforma è incompiuta”, denuncia Massimo Cozza, direttore del Dipartimento di Salute Mentale Asl Roma2. “La legge 81 del 2014, dopo diverse proroghe, ha messo fine allo scandalo dei manicomi criminali, dove i detenuti, anche per reati minori, venivano lasciati lì a vita, in una reiterazione della pena chiamata, non a caso, ergastolo bianco. Luoghi di sola custodia, discariche sociali”.
La commissione Marino svelò gli orrori degli Opg.
Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere. Ognuno di questi nomi porta con sé le sconvolgenti immagini di una sub-umanità che la commissione d’inchiesta del Senato sugli ospedali psichiatrici giudiziari, presieduta da Ignazio Marino, mostrò alla politica italiana. Manicomi ancor più degradati e violenti di quelli chiusi da Franco Basaglia nel 1978, in quanto contenitori non soltanto di pazzi, ma di cosiddetti pazzi criminali. Dove la definizione di criminale poteva assurdamente contenere il reato e la storia di un uomo, chiuso nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto da 25 anni, perché aveva “rubato settemila lire mimando con le mani in tasca la forma di una pistola”. O di un ragazzo arrestato perché vestito da donna. Ergastoli bianchi.
Dopo anni di denunce delle associazioni, del movimento Stop-Opg, il Parlamento vara la legge che impone lo svuotamento dei manicomi criminali, con le resistenze della Destra che profetizza il rovesciarsi nelle strade di efferati pazzi criminali. Naturalmente non è avvenuto ma la de-istituzionalizzazione giudiziaria, compiuta in una ideale consonanza con la legge Basaglia, presenta ombre di attuazione ancor maggiori rispetto alle legge 180. Nel conflitto sempre più stridente all’interno degli istituti penitenziari tra “bisogno di cura ed esigenze di sicurezza che il carcere è chiamato a bilanciare, l’abbraccio mortale tra Giustizia e Salute, tra diritti che confliggono e faticano a convivere”, come si legge nell’ultimo rapporto Antigone sulle carceri italiane.
Luci e ombre delle Rems
Aggiunge Cozza: “Giustamente si è passati dall’idea della reclusione a quella della cura affidata ai dipartimenti di salute mentale invece che al ministero della Giustizia. Sono state create le Rems, residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza a carattere sanitario, a cui vengono affidati i rei non imputabili, gestite dai dipartimenti di salute mentale. Sono 30 in tutta Italia, con circa 600 posti. Qui vengono assistiti i cosiddetti folli-rei, incapaci di intendere e volere considerati però socialmente pericolosi, la cui condizione non prevede il carcere, ma la cura, appunto, nelle Rems”. Alcune di queste strutture sono all’avanguardia, come quella di Trieste ad esempio, piccole, senza sbarre, nel solco, appunto, della de-istituzionalizzazione. “Altre, invece”, sottolinea Franco Corleone, garante dei detenuti di Udine, “ad esempio Castiglione delle Stiviere, la più grande d’Italia, per le loro dimensioni riproducono di fatto la struttura dell’ospedale psichiatrico, in antitesi a quanto prevede la legge di chiusura degli Opg”. A Castiglione, in Lombardia, sono infatti concentrate ben 151 persone di cui 133 uomini e 18 donne, il 27% di tutta la popolazione delle Rems. Un numero enorme.
“Le Rems però, con luci e ombre, sono di fatto il superamento del manicomio criminale. Il vero problema sono i detenuti con problemi psichiatrici, considerati capaci di intendere e di volere al momento del reato, per i quali la patologia psichica si aggrava o insorge successivamente all’ingresso in carcere. Ma le carceri non sono assolutamente attrezzate. Così accade che spesso la malattia”, rivela Massimo Cozza, “venga gestita con metodi carcerari. Sedazione, isolamento. Con agenti penitenziari che nell’assenza di operatori sanitari si trovano a dover gestire, magari, la crisi acuta di un detenuto”. (Come non ricordare l’utilizzo fino al 2017 delle “celle lisce”, celle totalmente vuote, senza né brande né servizi sanitari, in cui venivano rinchiusi senza vestiti i detenuti “agitati”.
Alice che gettò i suoi figli dalle scale
L’ultimo suicidio in una di quelle stanze di tortura è del 2017 nel carcere di Paola. Si chiamava Maurilio Pio Morabito, aveva quasi finito di scontare la sua pena). E di certo non sarebbe dovuta essere in una cella del carcere di Rebibbia con i suoi bambini di sei mesi e due anni Alice Sebesta, detenuta per traffico di stupefacenti, che nel 2018 uccise i suoi piccoli gettandoli dalle scale. Eppure il “disturbo” di Alice era stato segnalato. Perché, allora, Alice Sebesta era con i figli nel nido del penitenziario romano anziché in una dimensione sanitaria? Quasi si fosse passati da manicomi-carcere, a carceri-manicomio.
Mancano le risorse, i concorsi per operatori di salute mentale vanno deserti. Otto ore di copertura psichiatrica alla settimana ogni cento detenuti. Una goccia nel mare della disperazione. Franco Corleone, ex parlamentare, fa parte dell’Osservatorio sulla chiusura degli Opg, dopo essere stato il commissario unico che ha traghettato i manicomi criminali allo smantellamento. “Aver messo fine a quei luoghi della vergogna è stato un atto di civiltà. Ci sono delle criticità, certo, ma la riforma è in gran parte compiuta. Dopo la morte di Barbara Capovani è in atto invece un attacco sia alla legge 180, sia alla legge che ha chiuso gli Opg. Una strumentalizzazione che nasconde il deciso intento di tornare ai manicomi, da parte di una certa psichiatria e da parte com’è noto della Destra. Come se fosse l’unica risposta possibile alle aggressioni contro chi opera nella salute mentale. Sappiamo bene che non è così, le misure per fermare i violenti già esistono, a cominciare dalla libertà vigilata. Le stesse Rems prendono in carico i cosiddetti socialmente pericolosi ma sono di fatto luoghi di cura”.
Rivedere il concetto di non imputabilità
Il problema è invece un altro, dice Corleone: “La gestione della salute mentale in carcere e il carcere stesso che produce patologie. Negli ambienti ristretti il disagio esplode. Quanti detenuti potrebbero uscire ed essere curati nel territorio invece di essere trattati soltanto farmacologicamente? Perché non avviene?”.
La verità è che bisogna rivedere, secondo Corleone, il concetto di “non imputabilità”, eliminando la differenza tra coloro che compiono un reato e sono “capaci” da coloro che lo compiono essendo “incapaci di intendere e di volere”. Norma risalente al codice Rocco. “Anche i “pazzi” quando fanno del male sono consapevoli di farlo. Affrontare un processo può essere terapeutico. Eliminando quella dizione, che porta con sé l’idea che chi è incapace debba essere soltanto custodito in una Rems mentre chi delinque ma era savio al momento del delitto debba essere trattato da detenuto uguale agli altri. Per entrambi – conclude Corleone – la strada non sono nuovi manicomi criminali piccoli o grandi, ma la presa in carico da parte dei servizi di salute mentale”.