La verifica verrà fatta utilizzando, a scelta delle Regioni, uno o più dei seguenti indicatori, derivati ciascuno da una delle sette raccomandazioni sopra ricordate : n. dei percorsi attivati di riconoscimento delle pratiche limitative delle libertà personali; n. di iniziative per conoscere e monitorare la contenzione; n. di protocolli operativi/linee guida elaborate per garantire il rispetto dei diritti e della dignità delle persone; n. dei servizi di salute mentale integrati, inclusivi e radicati nel territorio, realizzati con il progetto; n. protocolli operativi/linee guida elaborate per garantire la qualità dei luoghi di cura e l’attraversabilità dei servizi; n. dei gruppi istituiti, compreso il lavoro in rete; n. di corsi di formazione effettuati per ciascuna tipologia di operatori; tasso di riduzione del numero di contenzioni meccaniche rispetto all’anno precedente.
In sostanza si chiede alle Regioni di far partire almeno un progetto per almeno una delle raccomandazioni. Far partire il progetto, non misurarne l’impatto rispetto all’obiettivo del superamento della contenzione meccanica. Per esempio è sufficiente che il n. delle contenzioni sia inferiore, anche di una sola unità rispetto all’anno precedente, per avere accesso al finanziamento. Poco importa se siano 1, 10, 100 o 1000.
Le Regioni, ancora una volta in ordine sparso, stanno attivando i progetti. Un paio di esempi lo rendono chiaro.
La Regione Piemonte ha deciso che ciascuno dei 23 spdc (media 13 posti letto e 25 operatori) possa assumere fino a tre operatori tra educatori, tecnici della riabilitazione e operatori socio sanitari, per la copertura di due turni, sette giorni su sette, fino al termine della sperimentazione il 20 giugno 2023 per una spesa di 2,8 milioni di euro.
La Regione Emilia Romagna passerà ad un nuovo sistema di monitoraggio attraverso la piattaforma regionale per la sicurezza delle cure ed implementerà uno specifico programma formativo, orientato ad incidere sulla cultura dei servizi, spesso decisiva nel determinare/giustificare il ricorso alla contenzione meccanica.
L’assessore piemontese si propone con questo progetto di applicare al minimo il controllo e la protezione del paziente, assicurando un contenimento del rischio di recidiva, il collega emiliano romagnolo, pur convinto della possibilità del superamento delle contenzioni, mette le mani avanti ricordando che nella sua regione sono già state ridotte del 75,9% in dieci anni. Come a dire che sono altre le Regioni problematiche.
Fabrizio Starace nei suoi puntuali e documentati interventi ricorda continuamente ai decisori politici quante risorse manchino ai servizi per la salute mentale. Il 9 maggio sul Quotidiano Sanità segnalava che l’Italia, pur appartenendo ai paesi ad alto reddito, riguardo al finanziamento per la salute mentale è al di sotto dei paesi a medio-basso reddito, e che la disuguaglianza di finanziamento tra Regioni è in aumento. Il 16 settembre, sempre su QS, ha evidenziato come nel nostro settore sia fondamentale il capitale costituito dagli operatori. Ne mancano 4.600 rispetto allo standard (vecchio di venti anni) di 1 operatore ogni 1500 abitanti. Con il risultato di sguarnire ulteriormente proprio la rete maggiormente efficace, costituita dai centri di salute mentale. Così sempre più i DSM si arroccano nei servizi ospedalieri (dove i turni vanno garantiti) mentre cresce l’offerta residenziale privata. Dunque ad un deficit quantitativo di operatori finisce per accompagnarsi la crisi della qualità professionale, che si nutre del lavoro territoriale, a favore della semplificazione biologistica/ambulatoriale e dei posti letto.
Né a tale situazione si è posta attenzione nella definizione degli obiettivi del PNRR. Infatti nel DM 77 che ha definito gli standard territoriali, nulla si indica per i DSM.
In questo contesto i 60 milioni di euro a disposizione delle Regioni per il rafforzamento dei DSM rischiano di fare la fine di quella monarca che mancando al popolo il pane suggerì di dargli le brioches. Detestabili e detestati in quanto velleitari e privi di senso della realtà.
Abbiamo sempre sostenuto che l’approccio no restraint deve essere sistematico e globale, deve avere il suo fulcro nel lavoro territoriale, nella continuità della presa in carico, nella prevenzione del rischio di trattamenti coercitivi.
Ci vorrebbe, dunque, un deciso cambio di passo : integrare il DM 77 con gli standard per i DSM, assumere migliaia di operatori, formarli adeguatamente, reperire le risorse finanziarie necessarie.
Altrimenti è facile profetizzare che l’obiettivo di azzerare le contenzioni entro il 2023 verrà mancato. Per questo è bene dire sin da ora che ciò accadrà in conseguenza della marginalità in cui sono tenuti i DSM. Dobbiamo ben spiegare questa correlazione. Per evitare che il fallimento venga imputato ad un presunto massimalismo del movimento no restraint.
Il nostro movimento ha ben chiaro quale sia la realtà dei servizi. Per questo già lo scorso anno abbiamo proposto alcuni obiettivi realizzabili nelle condizioni date. E, dunque, in grado di fare qualche passo in avanti. Di nuovo facciamo le seguenti proposte.
Chiediamo a tutte le Regioni e Province autonome di adottare in forma vincolante il monitoraggio delle contenzioni meccaniche (numero, persone coinvolte, durata delle stesse) e di darne informazione in tempo reale al Garante Territoriale o Regionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
Chiediamo che al termine dei progetti regionali, ovvero al primo gennaio 2023, ogni episodio di contenzione meccanica venga sottoposto a sorveglianza secondo il protocollo per il monitoraggio degli eventi sentinella
Chiediamo che i servizi no restraint vengano individuati dalle Regioni e Province Autonome in cui si trovano come Centri di riferimento per la formazione al No Restraint.
Per esempio possono essere coinvolti nella predisposizione e gestioni di programmi formativi, essere sede di scambi peer to peer, attivare consulenze di supervisione ed audit.
FONTE: FSM La terra è blu