Ringrazio la Dr.ssa Giuseppina Paulillo e tutti i colleghi intervenuti e i tanti che hanno seguito l’incontro. Questi momenti formativi danno forza ad un movimento che opera nella quotidianità e deve far sentire la propria voce nelle sedi istituzionali e all’opinione pubblica.
L’incontro di oggi ha dimostrato dall’interno quanto l’impianto del doppio binario sia superato. Il codice Rocco (1930) è in sintonia con la legge 36 del 1904 e non con la 180/1978 e la 81/2014.
I concetti di capacità d’intendere e volere, la pericolosità sociale non hanno base scientifica. Sono di competenza del giudice ma spesso delegati sul piano tecnico allo psichiatra. Le misure di sicurezza rischiano di ledere i diritti delle persone, in particolare quelle provvisorie (da abolire) che non creano le migliori condizioni per la cura.
E’emerso il tema della qualità delle perizie[2] e dei riferimenti teorici che vanno aggiornati alla luce delle conoscenze scientifiche, del modello biopsicosociale, culturale e ambientale. Una visione olistica (One health, planetary health) che contrasta fortemente con un modello positivista, lineare.
Il riferimento neolombrosiano e neokraepeliniano appare sintonico ad un’applicazione del doppio binario e ricrea una sintonia tra psichiatria e giustizia, funzionale alle richieste securitarie promuovendo un modello istituzionale custodiale nel quale le REMS divengono un’appendice del sistema penale detentivo, la stazione di arrivo di un binario “speciale” che porta al mondo a parte della psichiatria.
Tutto questo in contrasto con la costruzione di un sistema di salute mentale e giudiziario di comunità.
Dobbiamo dire con chiarezza che non vi è la capacità di valutare lo stato mentale al momento del fatto reato, né vi è la possibilità di fare previsioni sulla pericolosità sociale. Lo psichiatra può fare valutazioni diagnostiche, condividere e gestire rischi nell’ambito di un discorso di tipo clinico e riabilitativo che deve comprendere l’esplicitazione dei limiti cioè la sostanziale impossibilità a prevedere e prevenire con certezza le condotte auto o eterolesive. Una psichiatria che ha bisogno di superare l’ambigua posizione di garanzia in favore di un esercizio della professione nella libertà, autonomia e nel privilegio terapeutico. Uno statuto che va riconosciuto, come componente essenziale e preliminare di ogni incontro che ambisca ad essere terapeutico, e questo accade se si rispetta la complessità, la multifattorialità, la capacità di costruire alleanze di cura, fondate sul rispetto e il protagonismo della persona.
Servono strumenti nuovi per la valutazione dei rischi[3], adatti al contesto italiano. Su questo vi è il contributo di Parma.[4]
La pericolosità, il rischi vanno affrontatati costruendo la sicurezza delle cure come risultato della responsabilizzazione di tutti a partire dagli utenti. Servono interventi strutturali, organizzativi e formativi in tutti i servizi.
Dobbiamo abbandonare la posizione custodiale che si esprime in una cura con le porte chiuse e magari con contenzione. Dobbiamo andare oltre le REMS e riflettere su spazi interni, aree verdi, sull’utilizzo di personale della Vigilanza che in ogni circostanza dovrà essere privo di armi la cui sola presenza è di per sé pericolosa, come purtroppo dimostra la tragedia avvenuta nella Questura di Trieste, dove una persona è riuscita a sottrarre l’arma degli agenti uccidendone due e ferendone altri sette (caso Maran).
Dal “doppio binario” al “doppio patto”
Diversi articoli di stampa stanno dando una rappresentazione dei problemi degli istituti di pena fondata su un ampliamento culturale del doppio binario: fanno pensare che debba esistere un sistema (il carcere) per i sani di mente e un altro per i “disturbanti”, nel quale sono inclusi malati e problematici nei comportamenti. Questo secondo sistema sarebbe incentrato sull’erede degli OPG, rappresentato erroneamente dalla REMS che in questa accezione, non avrebbero affatto una funzione residuale.[5]
Un tentativo di semplificare le contraddizioni e le complessità facile da comunicare e apparentemente convincente. Se il 15-20% ogni anno soffre di una qualche forma di disturbo mentale questo non si dovrebbe avere in carcere? Un luogo di per sé stressante, potenzialmente patogeno, dove si assommano problemi di povertà (economiche, relazionali e culturali), legati alle migrazioni, all’uso problematico di sostanze. Un ambito nel quale si concentrano sofferenze e contraddizioni che andrebbero affrontate con politiche e interventi profondi. Non possiamo dimenticare i 13 morti del 2020 per i fatti del carcere di Modena, quelli di Santa Maria Capo a Vetere, la chiusura del reparto Sestante di Torino, il tasso di suicidi (15 volte superiore rispetto alla popolazione generale)[6] e potrei continuare con lo stato di sofferenza e disagio degli operatori della polizia penitenziaria… le persone in attesa di giudizio, i diritti all’affettività e sessualità.
Vanno certamente affrontati i singoli casi, le questioni poste dalla sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale, dal caso Sy e nessuno deve vedere lesi i propri diritti ma senza una delega alla psichiatria di tipo totale ed esclusivo ma nel rigoroso perimetro giudiziario. Si apre cioè il tema delle competenze, degli ambiti e dei confini, dei contenuti della misura giudiziaria e di quelli del programma di cura.
La psichiatria non è e non può essere uno strumento per l’esecuzione penale e in questo senso le REMS sono già superate. La psichiatria è una branca della medicina, con conoscenze tecniche e scientifiche, prassi, organizzazione per intensità di cura e precise condizioni per poter effettuare il programma di cura. Questo richiede sempre il consenso e la partecipazione attiva della persona.
Vi è quindi la necessità di un “doppio patto” uno per la cura (che è fondata su consenso, volontarietà, protagonismo della persona, responsabilità, libertà) e l’altro per la prevenzione di nuovi reati e la sicurezza. Vanno affrontati quindi tutti i fattori biopsicosociale, culturali e ambientali.
Ci si è invece concentrati sulle liste di attesa e sul numero dei posti REMS.
Il problema delle liste di attesa, posto con forza all’attenzione dell’opinione pubblica e dei professionisti, emblematico l’intervento della ministra Cartabia alla Conferenza nazionale della Salute Mentale, è stato oggetto di drammatizzazioni che hanno portato la sanità nella condizione di sentirsi responsabile del problema, ed essere quella che “deve” risolverlo.
Non vi è dubbio che il peso psicologico e la responsabilità della chiusura degli OPG sia stata in gran parte sulle spalle della psichiatria. Si tratta di una legge dello stato che ha posto fine ad un sistema indegno di un Paese appena civile che richiede un’ampia collaborazione interistituzionale.
Comprendo bene le difficoltà di giudici, avvocati, di fronte alle sofferenze delle persone che chiedono interventi, programmi e alternative alla detenzione. Allora serve un cambio delle prassi che unisca punti di forza e debolezze, veda concretamente cosa fare, insieme, caso per caso, evitando di incorrere in omissioni e di ledere i diritti delle persone.
I dati riportati dalla sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale riporta che “ al 31 luglio 2021, la presenza di 36 REMS attive (tra definitive e provvisorie) sul territorio nazionale, per un totale di 652 posti letto disponibili, di cui 596 occupati (la differenza essendo riconducibile a momentanee esigenze legate alla pandemia, come le misure di distanziamento, ovvero alle ristrutturazioni in corso). La Lista attesa complessiva al 31 luglio 2021, 750 persone secondo il DAP, e 568 secondo la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.”
I 64 detenuti sine titulo presenti il 5 luglio 2021 sono rimasti 6 al 23 febbraio 2022. I 64 per oltre il 90% con misure di sicurezza detentive provvisorie, non erano tutti in attesa di posto REMS visto che 19 hanno ottenuto la libertà vigilata e 3 sono stati scarcerati (tot. 22 su 64, pari al 34%).
Al 23 febbraio 2022 vi è una lista di 45 soggetti detenuti “sine titulo” più 3 piantonati in SPDC.
Quindi il problema va affrontato in modo sistemico a partire dal superamento o dalla forte limitazione delle misure di sicurezza detentive provvisorie (che sono oltre il 90%) e di quelle ai sensi dell’art. 219 c.p.
Quanti sono i pazienti dimissibili dalle REMS ai quali la misura viene prorogata per mancanza di una casa, un reddito, un documento di residenza?
La grande attenzione alle REMS e alla lista di attesa ha lasciato totalmente nell’ombra (nemmeno citato dalla sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale) il tema della salute mentale negli Istituti di Pena e delle Articolazioni Tutela Salute Mentale (ATSM).
Al contempo è assai poco valorizzato il lavoro dei DSM che a risorse invariate si fanno carico della cura di circa 6mila pazienti con misure giudiziarie, in primis la libertà vigilata, dando così concreta attuazione alla legge 81. [7]
La sentenza della Corte Costituzionale n.22/2022 e la (mancata) risposta della politica
La sentenza ha riconosciuto la costituzionalità della legge 81 e ha preso atto della validità del percorso di superamento dell’OPG. Vengono indicati punti di frizione con i principi costituzionali, la necessità di dare esecuzione immediata, tempestive alla misure giudiziarie chiedendo di affrontare il problema della lista di attesa demandando analisi di dettaglio e soluzioni ai diversi attori istituzionali. In primis al legislatore chiamato ad assicurare adeguate risorse ai DSM e a definire il ruolo del Ministero della Giustizia.
E’ necessario creare una visione d’insieme in grado di configurare il diritto alla salute a prescindere dallo stato giuridico della persona.
L’aspetto più inquietante della sentenza 22/2022 è quello relativo alla natura della misura di sicurezza detentiva che unirebbe insieme privazione della libertà e coercizione alle cure. Una lettura inaccettabile in quanto per il malato mentale autore di reato non dovrebbero valere le leggi n. 180/1978 e 219/2017 ma ancor più perché sul piano medico psichiatrico non vi può essere cura senza il consenso, la partecipazione, la responsabilità e la prospettiva della libertà.
Per ora l’azione della politica è parziale e insufficiente. Già prima della sentenza si era avuta l’Intesa Stato Regioni del 4 agosto 2021 sulle Linee di indirizzo per progetti regionali volti al rafforzamento dei DSM. Queste assegnano 60 milioni da destinare a tre obiettivi (superamento contenzioni, percorsi giudiziari, psicopatologia preadolescenti e adolescenti). Un finanziamento che sembra una tantum e quindi non in grado di sostenere un cambiamento strutturale.
Nel decreto energia all’articolo 32 viene autorizzata la spesa annua di 2,6 milioni di euro per ciascuno anno del triennio 2022-2024, allo scopo di prorogare il pieno funzionamento della REMS provvisoria di Genova-Prà e di consentire contestualmente l’avvio della REMS di Calice al Cornoviglio (La Spezia) in Liguria. Inoltre, dal 2025 si prevede l’incremento di 1 milione di euro dello stanziamento statale indirizzato alle REMS, attualmente pari a 55 milioni di euro. Al contempo la Camera ha accolto la Raccomandazione presentata da Magi ed al. che “impegna il Governo a consultare l’Organismo di coordinamento relativo al processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari in merito ad ogni futura misura in merito e a rispettare il principio della territorialità della presa in carico dei malati psichici autori di reato da parte dei servizi di salute mentale delle Asl.”
A parte l’apertura di una nuova REMS in Liguria, regione che per altro non ha lista di attesa, al momento e fino al 2025, non vi è una politica di espansione delle REMS.
Certo il legislatore potrebbe realizzare una riforma organica del codice penale o per lo meno abolire la misura di sicurezza detentiva provvisoria. La via maestra è il superamento del doppio binario e in questo senso va la proposta a prima firma dell’on. Magi 2939/2021.
Mantenendo il doppio binario si potrebbe per lo meno adeguare il codice penale e procedura penale nei punti più critici: abolire le misure di sicurezza detentive provvisorie ed assicurare le alternative previste dalla legge 67/2014 alla misura di sicurezza detentiva. Riformare la legge sulle droghe e favorire le politiche alternative alla detenzione.
Al momento credo che l’intero sistema debba prendere atto di questa situazione. Le risorse possono derivare da percorsi di riconversione, adattamento, miglioramento tecnico-professionale e organizzativo attuato per via ordinaria e l’aiuto del ricostituito Organismo di coordinamento per il processo di superamento degli OPG, la Cabina di regia presso Agenas e i Tavoli della Conferenza delle Regioni, nei singoli territori.
Prendere atto della situazione: nuove analisi e buone prassi
Se il legislatore non risolverà il problema con nuove norme, né con nuovi significativi investimenti, occorre una lettura complessa, di sistema capace di cogliere i punti critici dell’intero sistema.
Se la crisi del patto sociale e della convivenza familiare sono evidenti, se non vi sono meccanismi di mediazione e inclusione, di prevenzione, si apre la via della devianza che porta alla marginalità, al reato, alla sofferenza mentale. Gli interventi psichiatrici e della giustizia sono molto spesso tardivi e parziali e si avverte spesso la mancanza di educazione, accudimento, carenza di azioni sociali e diritti (evidente con i migranti privi di documenti ecc.).
Una volta realizzatosi il processo di emarginazione e di perdita di ruolo il percorso è sempre in salita, controcorrente e il “contenitore” quasi sempre improprio. Superare i diversi ostacoli, le contraddizioni è un compito di sistema, di collegamenti, collaborazioni virtuose più che di competenze specifiche. I diritti vanno assicurati tutti insieme, diritti individuali e sociali, da giustizia, psichiatria e sociale.
L’ambito operativo dimostra che non si può da un lato disporre e dall’altro eseguire e poi controllare. Questi processi sono interconnessi, ma in parte sovrapposti e inseriti in matrici relazionali. La stessa pena nella sua esecuzione, subisce rimodellamenti e variazioni. La cura non può mai essere una pena e deve avere una sua piena autonomia.
Sul piano delle prassi occorre un coordinamento tra giustizia e psichiatria che realizzi forme di collaborazione strutturate a livello regionale e coordinata dall’Organismo nazionale. Una Consensus Conference nazionale potrebbe portare all’individuazione delle “Buone prassi” e alla loro diffusione.
La misura di sicurezza detentiva provvisoria anche in assenza di una norma specifica potrebbe essere molto limitata o azzerata adottando prassi collaborative tra magistratura e psichiatria. Queste dovrebbero essere fondate su protocolli e procedure gestionali condivise (cruscotti, tavoli regionali) e sulla necessità di mantenere residuali Istituti di Pena e le REMS.
Assicurare i diritti di cittadinanza (reddito, lavoro, casa) mediante il coinvolgimento degli Enti locali, Prefetture, società civile, Garanti nazionale e regionale.
Occorre trovare un nuovo punto d’incontro, incentrato non su luoghi ma su percorsi delle persone nella comunità. Essere prossimi alle persone, stare accanto ed accompagnare nelle esperienze, nella vita vissuta, nella sua concretezza. Il prevalere delle burocrazie, delle tecniche, delle norme può annientare l’umanità, la forza delle relazioni educative e terapeutiche. Aumentare la permeabilità, la capacità creativa dei sistemi e non le rigidità, significa aprire ad un confronto aperto, dove nessun ambito è extracomunitario, di competenza esclusiva ed escludente. Ciascuno colga il senso e le conseguenze delle proprie azioni e omissioni.
La REMS è una struttura sociosanitaria come dal Decreto del Ministero della Salute 1 ottobre 2012 a gestione esclusivamente sanitaria e con sorveglianza perimetrale demandata alle Forze dell’Ordine e quindi senza Polizia Penitenziaria. Una struttura simile ad altre “Residenze”, strutturalmente connessa ai contesti, integrata nei DSM, permeabile e temporanea, al fine di un utilizzo “residuale”. Concetto quest’ultimo rimarcato anche dalla Corte Costituzionale. Quindi una struttura del DSM che è già andata oltre il proprio mandato (esecuzione delle misure di sicurezza) assumendo una funzione di cura di comunità che deve evolvere in percorsi di inclusione. Una struttura che deve superarsi per non involvere.
Non può essere posta al centro del sistema, né assumere funzioni custodiali di lungo termine (30 anni) come indicato dalla recente sentenza Maran di Trieste[8]. Né deve essere l’oggetto del desiderio, l’unica soluzione in quanto è proprio dal riconoscimento della sua residualità possono nascere le alternative. Percorsi di Recovery che vanno coltivati, fatti maturare, censiti, monitorati.
Le esperienze delle REMS sono molto diversificate ma alcuni principi si sono affermati, e ciò non era scontato: numero chiuso, territorialità, sostanziale assenza delle contenzioni fisiche. A questi va aggiunto la possibilità che al pari di ogni luogo di cura, ammissioni e dimissioni siano decise dagli psichiatri. Strutture che rispettano il consenso ed attuano i TSO nelle sedi previste dalla legge, cioè i SPDC.
La limitazione della libertà è stata interpretata non tanto in senso deprivativo ma come un’occasione per riprendere atto di una situazione. Una limitazione che mira a permettere un migliore percorso di cura e di vita. Quindi in molti casi si sono curate relazioni, contatti telefonici, visite, contatti, opportunità di formazione, lavoro, sport, cultura, socialità.
In questo la misura giudiziaria dovrebbe declinarsi in dettaglio ed affiancarsi al percorso di cura.
Le REMS hanno ereditato anche modelli custodiali, incentrati sul controllo e sicurezza. Testimonianza di questo è la presenza di vigilanza privata, pari a circa il 10% del personale.
Purtroppo anche il 90% degli SPDC è restraint, ha le porte chiuse ed attua le contenzioni fisiche e purtroppo continuano i tragici incidenti.
Il modello di REMS ha poi grandi effetti sull’esterno sia per la prosecuzione dei percorsi, sia perché la REMS potrebbe essere invocata come soluzione dei diversi problemi e conflitti. Più la REMS è staccata dai DSM più sono difficili le dimissioni, più sarà grande il salto e la tendenza all’evitamento da parte dei CSM.
Se la REMS non evolve ma torna nella filiera della giustizia il suo potenziale terapeutico è destinato ad entrare in crisi e i problemi già visti in OPG tenderanno a riproporsi.
D’altra parte il tema della sicurezza, controllo, sorveglianza non è eludibile. Quindi i modelli devono trovare una loro coerenza e operatività. Si va dalla comunità terapeutica democratica a forme di gestioni quasi penitenziarie. Si fa da modelli aperti in grado di preservare dignità e diritti all’ affettività, relazioni anche sessuali ad altri chiusi e altamente deprivativi.
Prendere atto delle difficoltà della magistratura, avvocatura, istituti di pena, che spesso sono il terminale di contraddizioni e di molteplici problemi complessi.
Attivare interventi di comunità per prevenire, gestire conflitti, devianza, dare prospettive, evitare che siano famiglie e servizi ad invocare l’azione giudiziaria.
E’ un punto in ombra nella sentenza ma proprio per questo si staglia pesantemente sul tutto. Chi pensa che il problema dei disturbi mentale in carcere si possa semplicemente espellerlo ed affidarlo alla psichiatria, non coglie come il tema della salute mentale interessi tutti coloro che vivono l’esperienza detentiva. Quindi va affrontato all’interno, con molteplici interventi che riportino al centro i diritti costituzionali, riducano le detenzioni non necessarie, si chiedano sempre il senso della misura giudiziaria, a partire da quelle cautelari fino a quelle alternative. In questa riflessione rientra certo anche la condizione delle Articolazioni Tutela della Salute Mentale e lo stato dell’assistenza psichiatrica negli Istituti di Pena.
Affermare la pienezza di diritti e doveri delle persone con disturbi mentali[9] che continuano ad essere lesi anche dalla concezione della misura di sicurezza detentiva come detenzione speciale, in altre parole priva di tutte le possibilità alternative previste dalla legge.
Abolire il doppio binario e la posizione di garanzia dello psichiatra.
La pericolosità si riduce con il superamento di ogni struttura psichiatrica dedicata all’esecuzione di misure di sicurezza, aprendo ogni ambito alla libertà. Ridando ai medici psichiatri il potere di ammettere e dimettere, assicurando il privilegio terapeutico.
Pericolosità si riduce se aboliamo la presenza delle armi in sanità, nei DSM e nelle REMS.
E’ un tempo di scelte radicali!
L’autore Pietro Pellegrini è Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma.
Si tratta delle conclusioni del seminario “A 8 ANNI DALLA LEGGE 81/14 QUANTO È PERICOLOSA LA PERICOLOSITÀ SOCIALE”
[2] Pellegrini P., G Paulillo, Pelizza L., Pellegrini C., Scarpa F. Cozza M., Barone R., Imperadore G., Castelletti L. Applicazione della legge 81/2014: alcune note di orientamento per i Periti Psichiatri, L’Altro, Anno XXIV, n. 1 Gennaio-Giugno 2021, 28-34
[3] La valutazione del rischio di recidiva nei reati viene valutata con strumenti diversi: I generazione Approccio Clinico e non strutturato; II generazione Approccio attuariale e statistico (PCLR, Static 99, LSI-R); III generazione Approccio Professionale Strutturato (HCR 20-V3) ; IV generazione Approccio professionale strutturato di valutazione del rischio (C-VRR). Zara G, Valutare il rischio in ambito criminologico. Procedure e strumenti per l’assessement psicologico
Il Mulino, 2016
[4] Pelizza L, Maestri D, Paraggio C, et al. Reliability of the “Parma Scale” for forensic psychiatric treatment evaluation: preliminary findings in a sample of prisoners with mental disorder. Journal of Psychopathology 2022;28:94-112. https://doi. org/10.36148/2284-0249-456
[5] Questo orientamento si evince anche dalle prassi giudiziarie. Confrontando i dati pubblicati da Manacorda in “Folli e Reclusi. Una ricerca sugli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani” Ed da Provincia di Perugia e Centro Regionale Umbro per la ricerca e la documentazione storico psichiatrica, 1988 le misure di sicurezza detentive provvisorie all’ingresso erano il 13,86% contro il 35% attuale.
[6] 2015 presenza media detenuti 52.966, tot suicidi 39, tasso 0,74 per 1000
2016 presenza media detenti 53.984, tot. suicidi 40 tasso 0,74
2017 presenza media detenuti 56.946 tot. suicidi 50 tasso 0,88
2018 presenza media detenuti 58.372 tot. suicidi 64 tasso 1,1
2019 presenza media detenuti 60.610 tot suicidi 55 tasso 0,91
2020 presenza media detenuta 55.455 tot. suicidi 62 tasso 1,11
Quindi nella popolazione detenuta il tasso 2020 è 111 per 100mila (contro 6,5 della popolazione generale)
Fonte Relazione al Parlamento 2021 -Mappe pag.39
[7] Il tema dell’organizzazione è ineludibile e va quantificato l’investimento necessario per dare attuazione alla legge. Per i percorsi giudiziari (personale, strumenti come Budget di Salute, strutture) servono circa 300 milioni anno. Importante è la cultura dei DSM, creare le Unità di Psichiatria Forense e dare un’unitarietà e coerenza ai percorsi, individuando e valorizzando le strutture dell’intera rete territoriale, preventiva e alternativa alle REMS.
[8] A Trieste una sentenza abnorme. Torna l’Opg? di Pietro Pellegrini Sos Sanità 22/2022
A Trieste una sentenza abnorme. Torna l’Opg? di Pietro Pellegrini
[9] Rotelli Salute mentale e non imputabilità. Sul doppio binario “il treno all’incontrario va”. SOS Sanità 22/2022 http://www.sossanita.org/archives/17106
Pietro Pellegrini, Giuseppina Paulillo, Cecilia Paraggio, Clara Pellegrini, Lorenzo Pelizza, Emanuela Leuci Persone con disturbi mentali in ambito penale. Diritti e doveri: molto resta da fare! L’Altro, Anno XXIV, n. 2 Luglio Dicembre 2021 Gennaio-Giugno 2021, 25-30