In una casa che si trova lungo la strada che porta ad Ala, una frazione di Pilcante, in provincia di Trento, abitavano Matteo Tenni, di 44 anni, e sua madre Annamaria Cavagna, di oltre 80. Già a vent’anni Tenni rivelava qualche sofferenza: poi, la scoperta di un disturbo psichico e, di conseguenza, l’isolamento e una tendenziale condizione di marginalità. Il 9 aprile del 2020 la vita di Tenni si interrompe sul selciato del vialetto che porta alla propria casa. Accade dopo essere fuggito davanti a una macchina dei carabinieri che gli intimavano l’alt. L’uomo, inseguito, si dirige verso la sua abitazione, dove viene raggiunto dai militari, che entrano nella proprietà superando il cancello di ingresso. Qui la tragedia: Tenni impugna una accetta e si muove verso l’auto, dalla quale – secondo la testimonianza della madre – i carabinieri si erano già allontanati, e contro la quale assesta due o tre colpi. Nel frattempo è arrivata un’altra auto dei carabinieri e uno dei militari esplode un colpo che raggiunge Tenni all’arteria femorale, provocando una lacerazione e il conseguente decesso.
La Procura della Repubblica di Rovereto apre un’indagine per omicidio preterintenzionale a carico del carabiniere che ha esploso il colpo: poi, dopo alcuni mesi, la richiesta di archiviazione. Qualche giorno fa il Gip accoglie la richiesta e decide di chiudere definitivamente il caso. Ciò che, purtroppo, viene archiviata insieme all’indagine, è la straziante situazione di tante persone, che rivelano una fragilità psichica più o meno acuta e per i quali i servizi psichiatrici territoriali sembrano incapaci di offrire assistenza, cure adeguate e tutela. Ed è assai lungo l’elenco di quanti – in una evidente e grave condizione di vulnerabilità – hanno trovato la morte per mano di coloro che avevano il dovere istituzionale di proteggerli. Penso, per citarne alcuni, a Mauro Guerra, morto a Carmignano di Sant’Urbano il 29 luglio del 2015 e ad Andrea Soldi, morto a Torino il 5 agosto dello stesso anno. A causa di interventi finalizzati ad applicare il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), che pure, nel caso del primo, nessuno aveva disposto. E ancora una volta si pone l’enorme problema della formazione degli operatori di polizia, troppo spesso incapaci di interpretare il proprio compito come un servizio al cittadino, di cui garantire diritti e prerogative. Si leggano le trascrizioni delle conversazioni tra i carabinieri che inseguivano Tenni: “Dovevo sparargli, dovevo sparagli prima”; “Matteo sei un matto. Schiantati, schiantati”; “Cazzone fermati”. Certo, la concitazione, l’ansia e, magari, la paura. Ma sembrano parole e sentimenti dettati dall’idea che quel cittadino, per il solo fatto che fugge e che è “matto”, è un nemico.
fonte: La Repubblica 17.2.2022
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