Così il Friuli Venezia Giulia ha deciso di smontare la sua assistenza territoriale. di Gianni Cuperlo

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Guidare contromano prima che irresponsabile è pericoloso. Tutti lo sanno ed è la ragione per cui, quando succede, non è mai per scelta, ma a causa di un errore umano. Dovrebbe valere lo stesso nell’azione dei governi, che siano locali, regionali o nazionali. Anche loro non dovrebbero imboccare la strada nel verso opposto a quanto suggerisce la logica o, se si preferisce, il vecchio buon senso. Invece capita che la regola si infranga. Se poi accade in tempo di pandemia e nel luogo simbolo di una delle poche riforme partorite a cavallo degli anni settanta e sopravvissute a numerosi attacchi tesi a svuotarla da dentro – parlo della legge che porta il nome di Franco Basaglia e della città, Trieste, dove quella norma ha espresso il meglio di sé – allora si può pensare (senza far peccato) che le coincidenze siano tutto meno che casuali.

Ma partiamo dai fatti: l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (da qui in avanti Asugi) delibera una riorganizzazione dell’assistenza territoriale come previsto dal Pnrr. Per una volta le risorse disponibili non sono scarse e lo stesso Pnrr specifica i criteri dell’utilizzo. Tra questi, programmare almeno una “Casa della Comunità” ogni 40 o 50 mila residenti. Concretamente di cosa si tratta? Della scelta di dar seguito alla tanto evocata prossimità dell’offerta di servizi facendo tesoro della lezione impartita dalla pandemia: la sola ospedalizzazione e privatizzazione della sanità non è in grado si assolvere a compiti che solo una strategia di decentramento e presidio dei territori può gestire. Qui entra in scena la città dove Basaglia decise di forgiare il laboratorio della sua rivoluzione. A Trieste per decine d’anni la strategia dei Distretti Sanitari per un verso ha preservato, per l’altro anticipato, la consapevolezza oggi finalmente condivisa dalle massime autorità nel governo del paese e di una buona quota delle regioni. Ovvero i “Distretti sanitari” esistenti a Trieste sono di fatto sovrapponibili alle “Case della Comunità” contemplate nel Pnrr. Arriviamo così al senso di quel prendere contromano. Cosa prevede l’atto deliberativo dell’Asugi? In soldoni tre scelte. La prima è che il territorio della città capostipite di quella riforma veda ridotto il numero degli attuali Distretti Sanitari da 4 a 2. La seconda è che anche il numero dei Centri di Salute Mentale (il presidio fondamentale sul territorio) si dimezzi, pure in questo caso da 4 a 2. La terza è un coerente (sic) svuotarsi dai Distretti medesimi di molte attività specialistiche destinate da ora in avanti a convergere in un nuovo Dipartimento alle dipendenze del Direttore Sanitario. Traduciamo: quanto prima era decentrato in chiave di prossimità e continuità nella erogazione dei servizi contigui tra loro, diversificati e indirizzati a fasce di età e a patologie diverse, viene in seria misura ri-centralizzato con gli effetti prevedibili sulla qualità e quantità dell’offerta sanitaria e di assistenza. Insomma la questione si capovolge: piuttosto che andare nella direzione prevista e prescritta dal Pnrr, che in buona parte è stata da tempo realizzata  nel capoluogo giuliano e nel resto della Regione, si disarticolano e si svuotano di competenze i servizi di prossimità che già esistono, sono integrati e rivolti a una popolazione di circa 50 mila abitanti. Ora il fatto che questa riduzione e compressione dei servizi riguardi quel contesto specifico (per capirci i due Distretti frutto del taglio avranno da coprire rispettivamente 146 mila e 83 mila abitanti) mentre altre aree della regione (sotto giurisdizione della medesima Azienda Sanitaria) con molti meno residenti non vedano intaccata la propria dote di istituzioni sanitarie e strutture induce quanto meno al sospetto. Non sarà che per caso si è voluto penalizzare un territorio che nel tempo ha difeso un genere di medicina e psichiatria giudicato dal potere politico e amministrativo di adesso un’anomalia da “sanare”? Perché se così fosse quell’avere imboccato contromano si caricherebbe del significato peggiore: usare nuove ingenti risorse non già per ottenere un più alto livello di prestazioni, ma per regolare conti lasciati in sospeso da anni, con buona pace del bene comune e dell’interesse dei cittadini. Mesi fa presentando le linee del Pnrr il capo del governo disse che “il gusto del futuro” avrebbe prevalso “su corruzione, stupidità e interessi di parte”. Parole sante che parvero allora una consolidata certezza. Oggi mi contenterei di assumerle come un formidabile auspicio.

fonte: Forum Salute Mentale – da da “Domani” del 12 dicembre 2021

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