Le ambiguità della Global Mental Health. di Benedetto Saraceno

La Global Mental Health promuove la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ma non si schiera mai contro chi tali diritti sistematicamente viola e non riesce in definitiva a cambiare la realtà.

Gli anni 1993-2009 sono stati anni cruciali per l’affermarsi di una nuova «disciplina» denominata Global Mental Health.[1] Il discorso della salute mentale globale si è nutrito dalle direttive della Organizzazione mondiale della sanità e della Unione europea, delle norme della convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità ma soprattutto dei contributi di alcuni prestigiosi centri di ricerca, soprattutto anglosassoni.[2,3] Anche se tale discorso risulta articolato, documentato, intelligente e sostanzialmente progressista, tuttavia è legittima la domanda se la Global Mental Health si ponga il problema di un mutamento di paradigma o semplicemente riproponga in modo più articolato e intelligente il modello tradizionale della psichiatria biomedica. Quello della Global Mental Health è infatti un discorso che fa prevalere gli aspetti di advocacy internazionale finalizzata a ottenere maggiori investimenti per la salute mentale senza tuttavia contribuire alla trasformazione della realtà dei servizi di salute mentale. La necessità di creare ampio consenso penalizza la riflessione critica sui contenuti di quello che il movimento di fatto intende promuovere nei paesi a parte un generico «aumento dell’accesso ai trattamenti».

Nella realtà globale di fatto coesistono senza conflittualità o incompatibilità teoriche e pratiche, la psichiatria come disciplina biomedica, le pratiche assistenziali e di cura nei servizi reali e il discorso della salute mentale globale. Tale coesistenza è quantomeno acritica in quanto accetta (e non mette in discussione), da un lato, la enorme fragilità epistemologica (e morale) della psichiatria biomedica[4], pratiche assistenziali troppo spesso gravemente lesive dei diritti dei pazienti e, infine, il discorso globale.

Dunque, in mezzo a queste due dimensioni – una disciplina psichiatrica misera e una realtà assistenziale variegata con punte di orrore – esiste o meglio co-esiste il discorso della salute mentale globale. Diciamo che oggi la Global Mental Health si pone come un movimento internazionale che ha contribuito e continua a contribuire in modo sostanziale alla:

  • promozione di modelli di comprensione della malattia mentale olistici e non limitati al tradizionale modello biomedico;
  • riflessione/valutazione/disseminazione di modelli di servizi per la salute mentale con un deciso orientamento comunitario e con forte attenzione alla questione dei diritti degli utenti.

Se sono lodevoli sia la promozione di modelli olistici sia la scelta di modelli di psichiatria comunitaria, tuttavia le azioni di promozione del diritto delle persone con disabilità mentale a essere curate prevalgono sulle effettive azioni di trasformazione della realtà dei servizi di salute mentale. Dunque, si promuovono più trattamenti, più servizi, più risorse ma senza mai chiedersi “quali” trattamenti, in “quali” servizi e risorse “per cosa”. I “pacchetti” formativi che centri accademici occidentali producono e diffondono nei paesi a basso e medio reddito spesso sono la riproduzione aggiornata e raffinata di tradizionali approcci psichiatrici.

Le risorse finanziarie che il movimento di Global Mental Health riesce a mobilizzare sono essenzialmente dirette a un gruppo ristretto di ricercatori con l’effetto positivo di promuovere talvolta ricerca nei paesi a basso e medio reddito ma al tempo stesso con un rischio significativo di riprodurre logiche accademiche che alla fine premiano un limitatissimo numero di ricercatori di centri di ricerca situati in paesi ricchi.

Per ottenere risorse è necessario ottenere consenso e stabilire alleanze con la psichiatria e questo non facilita la riflessione critica sui contenuti di quello che il movimento di fatto intende promuovere nei paesi, al di là del generico miglioramento della salute mentale. In buona sostanza il consenso di cui gode la Global Mental Health penalizza anche la capacità di scelte di campo nette e non ambigue nei confronti dei «crimini di pace» commessi dalle psichiatrie locali in ogni parte del mondo. La Global Mental Health promuove la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ma non si schiera mai contro chi tali diritti sistematicamente viola; la Global Mental Health promuove ricerca di alta qualità ma non si esprime in modo chiaro e critico rispetto alle responsabilità gravissime della industria farmaceutica.

Questi sono i limiti gravi e sostanziali della Global Mental Health che pur avendo permesso un salto culturale notevole alla psichiatria dell’establishment psichiatrico biomedico non riesce a costruire innovazione nei paesi. A fronte di una indubbia “potenza” di ricerca la Global Mental Health non è riuscita a cambiare la realtà: ad esempio esiste una modestissima evidenza che mostri una sostanziale riduzione del treatment gap. Le recenti surveys nazionali prodotte in India e in Cina mostrano che piú dell’80% degli individui con qualunque tipo di disturbo mentale o da abuso di sostanze non accede a un trattamento. E, quando il trattamento è accessibile la sua qualità resta povera. La World Mental Health Survey mostra che fra gli individui con Disturbo Depressivo Maggiore solamente il 22,4%, 11,4% e il 3,7%, rispettivamente in paesi ad alto reddito, medio reddito e basso reddito riceve un trattamento ritenuto minimamente adeguato[5,6].

Invece, esperienze che trenta o quaranta anni fa non erano riconosciute dalla psichiatria ufficiale ed erano ignorate e spesso guardate con diffidenza, oggi sono riconosciute come eccellenze di significato e impatto globale. In altre parole, accanto alla Global Mental Health si viene affermando un’altra psichiatria anche essa capace di ispirare e influenzare l’assetto concettuale e pratico della psichiatria a livello globale. È il caso della quarantennale esperienza dei servizi psichiatrici di Trieste concepiti da Franco Basaglia e in seguito da Franco Rotelli. La pratica di Trieste precede il suo “discorso” e lo determina: contrariamente al discorso della Global Mental Health che rimane un discorso senza pratica, Trieste produce trasformazione della realtà e su tale trasformazione costruisce il proprio discorso. Oggi Trieste è protagonista della Global Mental Health e anzi ne costituisce la faccia credibile e capace di ispirare e promuovere innovazione. Ma Trieste non è sola in quanto anche altre realtà italiane e altri paesi (si pensi a Birmingham nel Regno Unito, a Oviedo nelle Asturie, alle molte città brasiliane teatro di lotte e radicali innovazioni – Santos, Rio Grande do Sul, Recife, Belo Horizone –, alla Patagonia della provincia di Rio Negro) stanno costituendo un fronte globale alternativo. Dunque, a fronte di un “global” troppo sbilanciato verso modelli tradizionali biomedici e dominato dalla accademia anglosassone, si contrappone un altro “global” attento ai diritti e ai determinanti sociali e non solo sul terreno teorico bensì su quello delle prassi.

La sostanziale differenza fra il “global” promosso dal movimento della Global Mental Health e il “global” rappresentato dall’informale consorzio internazionale di esperienze di psichiatria democratica (superamento del manicomio, abolizione dei mezzi di coercizione, costruzione di reti di assistenza psichiatrica territoriale, enfasi su casa e lavoro come elementi essenziali di promozione della libertà e della terapia) sta forse nella differente enfasi sul ruolo della organizzazione dei servizi. Se per la Global Mental Health l’enfasi è su interventi clinici evidence based per il Consorzio Globale di Psichiatria Democratica (denominazione questa inesistente e da me provvisoriamente coniata) l’enfasi va posta sulla organizzazione dei servizi dentro cui si praticano gli interventi. Da un lato si pensa che il contenuto del “fare psichiatria” sia essenzialmente “fare buona clinica” mentre dall’altro si ritiene che il contenitore della buona clinica sia in realtà il contenuto fondamentale del fare psichiatria.  Pur senza scontrarsi direttamente oggi abbiamo di “discorsi” globali, quello dell’establishment anglosassone e quello delle esperienze di riforma psichiatrica il cui capofila sono senz’altro Basaglia e il modello triestino.

A fronte di questi giganti globali osserviamo tuttavia molti nani locali. Gli attacchi al modello triestino messi in opera dalla giunta regionale leghista del Friuli Venezia Giulia sono il braccio operativo politico e amministrativo di un pensiero vecchio e povero diffuso ancora nella psichiatria italiana. Abbiamo sentito le dichiarazioni del presidente della Società Italiana di Psichiatria che favoleggia di una psichiatria “moderna” contrapposta alla “vecchia” psichiatria del modello triestino. Questa modernità cui allude il presidente degli psichiatri italiani è quella dei servizi di diagnosi e cura in cui ancora si legano le persone? Quella dei servizi territoriali che funzionano come ambulatori aperti poche ore al giorno e chiusi al sabato e alla domenica? Quella del ricorso sistematico al Trattamento Sanitario Obbligatorio? Quella dell’uso delle strutture residenziali come nuove piccole istituzioni manicomiali che sopperiscono a una attività di territorio carente?

Ecco, questi nani locali e i loro rappresentanti politici, anch’essi nani, non sono neppure pronti a iscriversi a nessuno dei due modelli di Global Mental Health, né a quello più tecnocratico né a quello più politico. In questa temperie culturale ahimè avanza la cultura di quei politici che sono nemici del servizio pubblico, nemici della libertà, nemici della eccellenza italiana in salute mentale.

Benedetto Saraceno, Segretario Generale, Lisbon Institute of Global Mental Health

Bibliografia

  1. Patel V, Prince M. Global mental health: a new global health field comes of age. JAMA 2010;303(19):1976-1977. doi:10.1001/jama.2010.616
  2. Global Mental Health Series. The Lancet, 2007, Londra
  3. Global Mental Health Series. The Lancet, 2011, Londra.
  4. Saraceno B. Sulla povertà della Psichiatria. Derive e Approdi, Roma 2017.
  5. Gautham MS, Gururaj G, Varghese M. The National Mental Health Survey of India 2016: Prevalence, socio-demographic correlates and treatment gap of mental morbidity. Int J Soc Psychiatry 2020;66(4):361-372.
  6. Thornicroft G,  Chatterji S,   Evans-Lacko S, et al. Undertreatment of people with major depressive disorder in 21 countries. Br J Psychiatry. 2017; 210(2): 119–124.

fonte: saluteinternazionale.infoSOS Sanità

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