Note a margine dell’intervento della Ministra della Giustizia Marta Cartabia alla Conferenza Nazionale Salute Mentale. di Pietro Pellegrini

L’intervento della Ministra della Giustizia Marta Cartabia alla Conferenza nazionale sulla salute mentale è testimonianza di attenzione e di dialogo.

Con chiarezza ha posto “un problema urgentissimo e assai grave che è stato portato anche all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo: 71 persone che si trovano in carcere mentre dovrebbero essere ricoverate nelle Rems”.

Un problema che richiede risposte immediate perchè nessuno deve restare detenuto ingiustamente e il diritto alla salute va assicurato in ogni contesto a prescindere dalla condizione giuridica.

Occorre essere operativi ma come? Se 71 persone necessitano di interventi ai sensi della legge 81/2014, si deve provvedere all’immediata presa in cura da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale competenti e alla rivalutazione della loro pericolosità sociale da parte della Magistratura, visto che la collocazione in REMS è “l’estrema ratio”. Va fatto ogni sforzo per la concessione della libertà vigilata e la predisposizione di cure nel territorio. Viene anche da chiedersi perchè le misure di sicurezza detentive, come la detenzione, non possano essere effettuate a domicilio o in altri luoghi di cura?

In tempi brevi si può risolvere il problema prendendo atto che con la legge 81/2014 gli OPG sono stati chiusi non con le REMS ma tramite il sistema di welfare di comunità di cui fanno parte i Dipartimenti di Salute Mentale al cui interno operano le REMS. Si è creato un sistema di cura e giudiziario di comunità. Un sistema nuovo, acerbo che in alternativa all’OPG non vede solo le REMS ma un’articolata rete di servizi, strutture e strumenti sociosanitari. Questo in continuità con la legge 180 che al posto dell’Ospedale Psichiatrico ha creato una molteplicità di risposte e continua a proporne di nuove come ad esempio i progetti con budget di salute. Un documento di Agenas, Ministeri della Giustizia e della Salute, presentato alla Conferenza, individua la necessità di un potenziamento dei DSM, di un Osservatorio Nazionale, di Cabine di regia regionali, di Protocolli tra psichiatria e giustizia, come auspicato dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Occorre andare oltre la logica delle deleghe: a ciascun attore, giustizia, forze dell’ordine, sociale, sanitario, enti locali, società civile, associazioni spetta un ruolo in quanto costruire salute e sicurezza, benessere delle persone nella comunità è un compito complesso, non delegabile alla psichiatria. I nostri territori sono ricchi di competenze umane, solidarietà, di possibili soluzioni e pertanto vanno costruiti percorsi non altri muri, altri posti REMS per riempirli ed essere nuovamente da capo?

Dai dati del Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà al 19.04.2021 risultano detenute in attesa di REMS 65 persone di cui 62 con misure detentive provvisorie. Queste ultime dovrebbero essere oggetto di un’attenta e approfondita riflessione. Infatti, il problema delle misure provvisorie si può risolvere con percorsi personalizzati ma senza soluzioni semplicistiche che magari accontentano la giustizia ma si possono rilevare antiterapeutiche, inutili o dannose specie di fronte a soggetti psicopatici, con disturbi di personalità e uso di sostanze, condotte criminali, del tutto inappropriati nelle REMS.

Le esigenze della giustizia non solo le sole in campo ma vi sono le condizioni della cura che richiede motivazione, consenso e sicurezza.

Poi va considerato che il 73% delle persone in lista di attesa detenute è concentrato in 5 regioni e quindi vanno viste in maniera accurata le singole situazioni.

L’ordinanza n.131/2021 della Corte Costituzionale chiede approfondimenti prima di decidere sul ricorso di costituzionalità della legge 81/2014 avanzato dal Tribunale di Tivoli. Intanto si vagheggia di imporre pazienti alle REMS andando oltre il numero chiuso e la competenza territoriale? Soluzioni inaccettabili se si vogliono preservare responsabilità e competenze sanitarie nonchè la qualità della cura.

Le REMS sono servizi sociosanitari parte integrante dei Dipartimenti di Salute Mentale che non solo hanno chiuso gli OPG ma si fanno carico, a risorse invariate e con la persistente “posizione di garanzia”, di circa 6.000 pazienti con misure giudiziarie nel territorio, per il 70% ospiti di Residenze Psichiatriche. Preoccupa la crescente “occupazione giudiziaria” della psichiatria compresi i ricoveri del tutto impropri in SPDC per ragioni giudiziarie, le carenze di risorse, la presenza del PTRI in solo 43% dei pazienti con misure definitive.

Le REMS sono utilizzate al 55% per persone con misure di sicurezza detentive definitive, il resto sono misure provvisorie. Quindi non per soggetti periziati e prosciolti. Si rischia di utilizzarle con finalità cautelari per persone “disturbanti”, non psicotiche in indicate per le REMS ma che richiedono altri progetti, sanitari e giudiziari, insieme.

Infine la ministra ha detto che negli istituti di pena vi sono “detenuti con disturbi tali da non richiedere il ricovero, ma ugualmente col diritto di ricevere l’assistenza necessaria” e nel 2021 “ci sono già stati 26 suicidi tra i detenuti e 4 del personale. Troppo numerosi sono gli episodi di aggressione al personale che lavora nelle carceri. Dove manca la cura della salute mentale il carcere diventa una polveriera”. La salute mentale non è la psichiatria, è un prodotto complesso alla cui costruzione e mantenimento debbono concorrere tutti come scrive l’OMS. E se fosse il carcere stesso con le sue regole, i suoi spazi, la sua concezione ad essere altamente patogeno? L’aggressività e la violenza correlano con sovraffollamento, disperazione, assenza di comunicazione, affettività e sessualità, noia e vuoto e non tanto con i disturbi mentali. Le visioni su devianza e violazioni e il patto sociale sono cruciali. Vi è da riflettere su legislazione, doppio binario, norme in materia di migrazione e dipendenze patologiche, sul modello di esecuzione della pena centrato sulla limitazione della libertà? Poi c’è da valutare la qualità delle Articolazioni tutela salute mentale e dell’attività dei DSM negli Istituti di pena.

Sapendo che giustizia e psichiatria sono spesso il terminale di molte contraddizioni, solo un grande lavoro di collaborazione interistituzionale, formativo e gestionale può, senza tornare indietro, risolvere positivamente il problema posto dalla ministra Cartabia e fare un decisivo passo avanti nella concezione della cura e della pena nella comunità.

Pietro Pellegrini

 

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