Di fronte alla pandemia l’Italia si è mostrata impreparata: la mancanza di mascherine, disinfettanti, tamponi, ospedali sull’orlo del collasso, servizi territoriali lasciati a se stessi con gravi conseguenze per cittadini e operatori che contano molti infettati e deceduti, ad oggi ben 110. In questo quadro, i servizi per la salute mentale sono stati orientati ad occuparsi delle urgenze e ad assicurare la continuità di cura. Gli accessi al Pronto Soccorso, le consulenze e i ricoveri sono diminuiti. Di fronte all’impensabile e invisibile, l’emergenza ha compresso i diritti e il “restare a casa” da un lato, ha inciso sulla parte più innovativa dei servizi, quella basata su interventi precoci e mediazioni nella complessità, esito di collaborazioni multiprofessionali di prossimità e dall’altro ha fissato un obiettivo prioritario, chiesto a tutti responsabilità e ridato centralità al senso dell’abitare della persona nella comunità. La semiresidenzialità è stata rimodulata a favore di nuove forme di sostegno domiciliari. Le persone e le famiglie hanno capito e collaborato. Se aiutate, anche con interventi economici e Budget di salute, hanno dimostrato di essere risorsa per sé e gli altri.
Le Residenze Psichiatriche, REMS compresa, si sono più chiuse (meno uscite, meno visite di parenti, contattati telefonicamente) e sono state ridotte le presenze per avere più stanze singole per l’isolamento. I rischi infettivo e psichiatrico sono valutati in modo bilanciato, relazionale e contestuale per creare la massima sicurezza. Tutto con equilibrio evitando che la paura del virus alimenti xenofobia, razzismo, stigma e pregiudizio. Case per anziani e carcere restano ambiti di grande preoccupazione. Sulla base della relazione “a distanza” (a diversa vicinanza) e lo smart working sono stati riarticolati colloqui e psicoterapie di cui si sono evidenziati punti di forza, il gradimento ma anche i limiti: la mancanza della relazione non verbale, dell’interazione “vis a vis”, del setting, del rapporto con il corpo. Gli uomini hanno bisogno di “senso vitale”, di “fare assieme” e non possono essere entità dematerializzate e sterilizzate. In questa fase i servizi di salute mentale che non sono una “specialistica ambulatoriale” devono esplicitare la loro offerta di cura e le condizioni per realizzarla, non essendo essa riducibile a urgenze e terapie farmacologiche. I bisogni delle persone richiedono risposte biopsicosociali e relazioni complesse, da realizzarsi nella sicurezza, nell’ambito di programmi di cura e di innovazioni per una migliore domiciliarità e la declinazione delle residenze come servizi di comunità. Se lo spazio pubblico è disertificato, la sofferenza mentale aumenta nel privato e la situazione potrebbe deflagrare di fronte all’angoscioso perdurare della pandemia e all’aggravarsi di povertà e crisi economico-sociale. Il sostegno psicologico agli operatori è essenziale per far fronte allo stress, alle responsabilità, al confronto con la sofferenza e la morte in un contesto contraddittorio che non esita a passare dall’idealizzazione (eroi) all’attacco diretto o in sede giudiziaria. E’ stata assicurata l’assistenza psicologica alle famiglie nella consapevolezza che superata l’emergenza, specie per il lutto si debba fare riferimento alle dinamiche culturali e religiose delle comunità locali, oggi quasi pietrificate di fronte ad una morte solitaria, distante e asettica.
L’OMS evidenzia come il bisogno di interventi psichiatrici sia crescente e per questo occorrono adeguate risorse. C’è bisogno dei valori della 180: diritti, speranza, fiducia, giustizia. Quindi è dalla complessità, dai valori umani, etici, professionali che possiamo ripensare diritti e salute anche quella mentale, nell’intero arco di vita della persona nella comunità, ridando così centralità e futuro ai servizi pubblici.
Pietro Pellegrini, Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma, scrive per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto