Meno liberi come in guerra ma l’ansia si vince con il tempo ritrovato.
Intervista a Eugenio Borgna, di Valeria Pini
Le città sono deserte. Nei rari casi in cui passa una persona, non vediamo un volto, ma una mascherina. Non incrociamo più gli sguardi e ci allontaniamo per paura del contagio. Non abbiamo mai conosciuto qualcosa di simile. Il tempo sembra sospeso in una dimensione che ci ha tolto la libertà come in guerra. Eugenio Borgna, 89 anni, psichiatra e saggista, il clima di tensione di un conflitto l’ha conosciuto da vicino.
Professor Borgna, suo padre era partigiano, che differenza c’è fra la guerra al coronavirus e quella che ha visto da ragazzo?
«Avevo 13 anni quando eravamo esiliati in montagna. Le analogie riguardano il fatto che non sapevamo se e quando i tedeschi sarebbero saliti. Ogni giorno e ogni notte stavamo con il cuore in gola. Non eravamo liberi di tornare a casa, ma allora sentivamo le ragioni ideali, ricolme di speranza».
Per la prima volta una generazione si sente senza libertà.
«Non siamo più liberi di organizzare le nostre giornate ma possiamo accogliere le restrizioni con la coscienza della loro necessità, dando loro un senso, o invece rifiutarle, divenendone prigionieri».
Non siamo abituati all’attesa e all’incertezza.
«La vita moderna è contrassegnata da decisioni immediate. Stralciate dal passato, dalla memoria, dall’attesa, dal futuro. Le certezze si sono liquefatte, non si sa quando rinasceranno e allora o sappiamo riscoprire il valore della memoria e della speranza, riempiendo le giornate di relazioni familiari più intense e più creative, o naufraghiamo nella noia».
Quando la paura diventa un problema?
«La paura di giorni come questi non si può cancellare, fa parte della vita. Non è mai del tutto negativa, ci rende attenti a cose che ci sfuggirebbero, ma non deve diventare diffusa e anonima».
Molti sono corsi a comprare cibo per avere riserve, ma rimanendo chiusi rischiamo solo di ingrassare.
«Fra le preoccupazioni, quella di rimanere senza cibo non è fra le prime. Sarebbe bene evitare di ingrassare. Certo tutto è connesso e allora si ingrassa, o si dimagrisce troppo, se non ci si educa a considerare questa prova come una inevitabile occasione per ripensare ai valori della solidarietà».
Come evitare momenti d’isteria?
«Ansie e paure crescono quando non conosciamo la natura del pericolo e la sua cura. Non è facile controllarle, ma non accresciamole, rimanendo legati alla tv e agli andamenti della malattia finendone storditi».
Gli anziani sono i più colpiti. Cosa devono fare?
«Devono adeguarsi alle disposizioni ed evitare di lasciarsi sommergere dal panico o dalla rassegnazione passiva. Dovranno continuare a fare le cose di prima, sia pure rimanendo in casa. Anche così la vita può avere senso».
La mancanza di posti letto nelle rianimazioni ha fatto parlare di una selezione in base all’età.
«L’età come criterio di cura, di salvezza o di condanna. La cosa è riemersa con parole di una tale gelida inquietante indifferenza da non essere lontana dai fantasmi, quantomai attuali, dell selezione. Non direi altro».
Anche lavorare è diventato un problema, temiamo contagi.
«La situazione è così difficile che si sarebbe tentati di chiudersi in casa, ma ci sono momenti in cui si è tenuti ad un’alta responsabilità».
Ora siamo ancora più dipendenti dalla tecnologia.
«Riempie il grande vuoto che l’essere costretti in casa trascina con sé. La cosa riesce bene solo se ci si sente appagati nel dialogo, che ne nasce».
Come affrontare le ricadute economiche della malattia?
«Ridare fiducia è compito al quale è chiamato il potere politico ma anche ciascuno di noi, se non oggi, domani, quando saranno necessari i gesti di solidarietà».
Molte famiglie hanno parenti lontani.
«Non restano se non le tecnologie che consentano di conoscere frammenti di una vita lontana alla quale ci si può accompagnare».
Il coronavirus ci ha tolto il contatto fisico. Non baciamo più i nostri figli.
«Evitare i contatti fisici fra genitori e figli, fra persone, è cosa più dolorosa e innaturale di ogni altra. Scambiamoci sguardi che, se non ci sono mascherine, sono ancora possibili».
Come gestire le paure dei bambini?
«I genitori dovrebbero cercare di non essere ansiosi, di non ridestare paure evitabili. Serve un sorriso e ricordare che la speranza è una medicina. Va detta la verità, con parole discrete».
Le psicoterapie via Skype hanno un senso?
«Cambia il dialogo psicoterapico, ma, nel deserto emozionale, in cui ci si può trovare in questi giorni, incrociare anche via Skype lo sguardo e la parola di una persona, ha un suo significato, anche se diverso».
Oggi non possiamo più godere dei piaceri della vita.
«Nelle ore della sventura rinascono risorse inattese che ci salvano. Serve una conversione a una vita di riflessione e di ritrovata comunione di destino: una parola misteriosa che la psichiatria conosce nell’incontrarsi con la sofferenza».
È l’occasione per regalarci tempo per i rapporti umani.
«Sarebbe il modo migliore e direi più terapeutico per convertire un tempo perduto in un tempo dell’ascolto interiore e del dialogo, della riflessione e della riscoperta di quello che ci unisce agli altri nelle ansie e nelle inquietudini dell’anima, ma anche nelle attese e nelle speranze. Un tempo ritrovato».
fonte: La Repubblica