Ieri notte Claudio è uscito di scena.
Così Peppe Dell’Acqua mi comunica che Claudio Misculin è morto.
Claudio Misculin.
Che entrava in scena con un doppio salto mortale – volando.
Claudio che ha fatto della sua complessa vita teatro, e teatro della sua vita.
Uscito di scena.
Epatite C. Cirrosi. Cancro.
Per il libro intitolato La luce di dentro (Titivillus, 2010) ho chiesto a Misculin di scrivere la sua vita. Lo scritto – più di 40 pagine intense, bizzarre, vere, piene di svolte e poesia, intitolato Io sono tu che mi fai – comincia così:
Io devo ringraziare tanta di quella gente… sì, devo proprio ringraziare molte, ma molte persone: amici, parenti, e poi colleghi e compagni soprattutto, tanti e tanti compagni per avermi ridotto in questo Stato.
Malaugurato Stato malato di perenne frustrazione e incazzatura: intacca fegato e cistifellea con riferimenti anche gastro uterini.
Sono italiano, di diritto teologico, dove, al di là della devastazione della globalizzazione, si respira la ladrazione e la furbizia come un profumo intrigante. Si vive la sudditanza e la vermaggine come un valore.
Ho avuto Claudio come attore e collaboratore per due volte – in Cinghiali al limite del bosco, nel 1985, e in La luce di dentro. Viva Franco Basaglia, in debutto il 15 maggio 2008 al Teatro Sloveno di Trieste.
Che cinghiale padre è stato – molleggiato, potente, coi baffi neri e gli occhi elettrici per insegnare ai cinghialini figli a stare immobili. Come controllava la propria furia e violenza per convincere alla calma, a diventare invisibili. Lui con Angela Pianca, la psicologa attrice dolcissima, la madre cinghialessa amorosa.
Ammiravo di Claudio la capacità di assorbire ogni suggerimento – di sviluppare nel corpo tutta la partitura delle emozioni. Animale cinghiale e vero animale teatrale, nutrito di continui quotidiani esercizi in un training mutuato dalla nostra rivoluzione teatrale – da Marco Cavallo a Grotowski e in giù.
C’era sempre in Claudio un eccesso, uno stridere – l’urlo misto al sussurro – la dissonanza accanto all’accordo. Nel cinghiale padre tutto era intonato, consonante, tranquillizzante – come il personaggio chiedeva.
Misculin comincia a metà degli anni ‘70 col Teatro Studio – poi si trasferisce all’Ospedale psichiatrico provinciale di San Giovanni, a Trieste, dove avviene la sua vera formazione e inizia la ricerca su Teatro e Follia. Fonda il Teatro Pirata, poi il Velemir con Angela Pianca (1983) fondato da matti di mestiere ed attori per vocazione. Nel 1992 il Velemir diventa Associazione Culturale Accademia della Follia.
Quanti spettacoli ha fatto Claudio con l’Accademia, un vortice, Bordertrain, Diritto al delitto, La vergogna di essere uomo, Mattatoio. La bell’epoca del massacro taciturno e distante, Mattbeth, Matinguera, Dott. Semmelweiss, La vita è sonno, La luce di dentro, Stravaganze, E mi no firmo e tanti altri.
Ma chi è il teatro per Claudio? Eccolo: «Il teatro è il luogo dell’eccesso. O no? Ho capito bene? Un giorno come un altro mi sto allenando davanti al teatro del comprensorio… Sto cominciando a praticare quell’eccesso che poi teorizzerò nel teatro e follia, su cui marcio ancora adesso. Fino al midollo. Perché: c’è del marcio in Danimarca. Pausa. Ma anche di più all’ex O.P.P. In pochi anni sperimento quello che sarà il mio patrimonio stilistico. Sangue, vomito, acqua, fuoco, terra, vetro, carne.»
A La luce di dentro abbiamo lavorato più di sei mesi là intorno al Posto delle Fragole, sulla collina di San Giovanni, in salette ventose, impervie, sottoscala, luoghi difficili. Questo nostro è un teatro da rocciatori, bisogna scavarsi lo spazio ogni giorno, assicurarsi in parete – c’è chi va e chi viene – chi va in crisi e non torna, la compagnia ha la forma della vita e della follia – e questa è la sua ricchezza.
Chiedo a Claudio di impersonare Basaglia. Ce la farò? Sì – ce la farai. Facciamo così: che scrivi un monologo di 4/5 minuti in cui metti tutti i tuoi esercizi acrobatici, urli, violenza, malessere: ti scateni. Poi, con calma e dolcezza, indossi l’impermeabile marron e diventi Franco.
Proviamo?
Proviamo.
Ed ecco la più strabiliante delle metamorfosi. Claudio diventa Basaglia, da grandissimo attore si è trasformato, è realistico e metaforico – fa piangere. Prima, nel Prologo, aveva detto:
Salve sono Claudio Cavallo.
E non sono un cavallo
Ma qualcosa di simile all’uomo.
In arte Claudio Misculin. Purtroppo.
Già da tanti anni. Fin da piccolo.
Pazienza. Passerà.
…
A me è andata bene. MI HANNO MESSO A FARE TEATRO.
Ed infatti sono ancora lì che mi faccio di Teatro
È diventato la mia droga
È il mio mestiere
MATTO DI MESTIERE, ATTORE PER VOCAZIONE
…
Bene, andiamo avanti
Questa sera sono qui
TREMANTE
Per tentare l’impresa più presuntuosa e
MILLANTANTE
della mia vita:
IMPERSONARE FRANCO BASAGLIA.
Negli ultimi 15 giorni – mi dice Dell’Acqua – Claudio sapeva di stare morendo. Il suo volto era una maschera impressionante. Ha dato indicazioni di lavoro al gruppo – alla sua compagnia – è stato in casa fin che ha potuto, poi negli ultimi due giorni in ospedale.
Claudio Misculin è morto da guerriero – come sempre era stato, un guerriero.
E un attore grandissimo – umanissimo e tormentato.
Forse il più grande attore italiano.
di Giuliano Scabia
fonti: