Assegno di inclusione: un’opportunità per rilanciare gli interventi socio-sanitari integrati? di Fabrizio Starace

Quello che segue è un commento alla Legge 3 luglio 2023, n. 85 recante: “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”. Vengono analizzati in particolare i criteri per la definizione e la certificazione delle “condizioni di svantaggio” inerenti alla presenza di problemi di salute mentale e/o di dipendenze patologiche.

La Legge 85 del 3 luglio 2023, istitutiva dell’Assegno di Inclusione, dedica specifica attenzione ai nuclei familiari in cui siano presenti soggetti fruitori di programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari. L’art. 2 riporta quanto segue:

Art. 2. Beneficiari

  1. L’Assegno di inclusione è riconosciuto, a richiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, a garanzia delle necessità di inclusione …. dei componenti in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione.
    ….
    4. Il parametro della scala di equivalenza, di cui al comma 2, lettera b), numero 2), corrispondente a una base di garanzia di inclusione per le fragilità che caratterizzano il nucleo, è pari a 1 ed è incrementato, fino a un massimo complessivo di 2,2, ulteriormente elevato a 2,3 in presenza di componenti in condizione di disabilità grave o non autosufficienza:

….
d) di 0,30 per ciascun altro componente adulto in condizione di grave disagio bio-psico-sociale e inserito in programmi di cura e di assistenza certificati dalla pubblica amministrazione;
….
5. Non sono conteggiati nella scala di equivalenza i componenti del nucleo familiare per tutto il periodo in cui risiedono in strutture a totale carico pubblico….

Per l’individuazione dei beneficiari la L.85/2023 considera i nuclei familiari con uno o più componenti che siano:
a) in condizioni di svantaggio (C1.1) successivamente (C1.4) definito di grave disagio bio-psico-sociale
b) inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali, indipendentemente dalla certificazione di disabilità

Sul piano operativo dunque non rileva la presenza di una certificazione di disabilità o non autosufficienza, peraltro già prevista come criterio di inclusione al C1.1 (beneficiari) e al C1.4 (parametri della scala di equivalenza); in questo caso la certificazione di disabilità o non autosufficienza prevede un parametro più favorevole al nucleo beneficiario. La generica condizione di svantaggio, ai fini della certificazione dei programmi di cura e assistenza da parte dei servizi per la salute mentale, dipendenze patologiche, neuropsichiatria infantile, viene specificata al C1.4 dall’espressione “grave disagio bio-psico-sociale”.

La variabilità dell’espressione sintomatologica, in termini di intensità, durata e compromissione funzionale non consente una meccanica attribuzione a questa categoria di soggetti con una determinata diagnosi clinica, anche se i Disturbi Mentali Gravi (schizofrenia e disturbi psicotici, disturbi bipolari e depressione maggiore, disturbi gravi della personalità) sono stati oggetto di specifiche indicazioni relative ai Percorsi di Cura approvate in Conferenza Unificata il 13.11.2014 e potrebbero costituire un primo riferimento utile.

Soccorre – ai fini della certificazione richiesta ai Servizi – la circostanza che le persone in condizioni di svantaggio per grave disagio bio-psico-sociale siano inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali.

Non v’è dubbio in tal senso che il riferimento è ai progetti terapeutico riabilitativi personalizzati definiti di concerto dalle agenzie sanitarie e sociali territoriali nell’ambito delle attività di integrazione socio-sanitaria, realizzati in forma individuale (es.: progetti sostenuti da Budget di Salute) o collettiva (es.: gruppo appartamento, comunità, attività di formazione-lavoro, attività di inclusione sociale), a gestione diretta o in cogestione con il terzo settore

I servizi indicati sono quelli socio-sanitari (non esclusivamente sociali o sanitari): l’adozione del sintagma socio-sanitari riferito ai servizi è esplicativo e ribadito al comma 1.4 laddove si richiede che i soggetti siano inseriti in programmi di cura e assistenza.

In definitiva, la certificazione che la norma richiede riguarda tutti i soggetti seguiti con continuità dai Servizi nel periodo di applicazione della norma stessa (dal 1.1.24), per i quali siano in atto progetti personalizzati socio-sanitari.

Ma come superare la babele definitoria dei programmi socio-sanitari, che ad oggi ne impedisce finanche una attendibile quantificazione? Farà fede in tal senso la presenza del progetto personalizzato in atto al 1.1.24 o definito in data successiva. Lo stesso, debitamente compilato ed inserito nella documentazione clinica del soggetto, costituirà l’indispensabile requisito di verifica circa la non arbitrarietà della certificazione, anche ai fini della previsione di cui al C.1.5.

E come superare eventuali elementi di sperequazione inter- ed intra-regionali indipendenti dalle condizioni del soggetto, lesivi del diritto a fruire della misura? Riteniamo che la presenza del progetto terapeutico riabilitativo personalizzato possa e debba costituire condizione necessaria e sufficiente per la certificazione di cui all’art. 2 C.1, a far data dalla sottoscrizione dello stesso da parte dei referenti delle agenzie sanitarie e sociali, indipendentemente dalla data di attivazione reale (che potrebbe essere subordinata a motivi di carattere organizzativo-gestionale, es.: lista d’attesa).

È evidente che questa procedura chiama in causa la competenza e la capacità progettuale dei Servizi, spesso limitata ad un approccio settoriale (sanitario o sociale) che in molte Regioni non ha ancora trovato composizione nella necessaria integrazione socio-sanitaria. La mancata definizione / attivazione di un progetto socio-sanitario personalizzato determinerebbe in questo caso una ulteriore penalizzazione costituita: a) dalla impossibilità a fruire del progetto da parte del soggetto che ne presenta le condizioni; b) della carenza della certificazione con cui le condizioni di svantaggio possano essere correttamente computate come parametro della scala di equivalenza, ai fini del riconoscimento dell’Assegno di inclusione al nucleo familiare di appartenenza del soggetto.

Senza scomodare Wundt e il suo concetto di eterogenesi dei fini, sembrerebbe proprio che l’istituzione dell’Assegno di Inclusione possa ridare nuovo slancio alla progettazione socio-sanitaria integrata.

Fabrizio Starace, MD, MPh

Director, Department of Mental Health & Drug Abuse, AUSL Modena Professor of Community Psychiatry (ct), UNIMORE President, Italian Society of Epidemiological Psychiatry (SIEP)
Member of the National Health Council

Fonte: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=116193

 

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