L’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale-Unasam, esprimendo solidarietà ai familiari e ai colleghi della specialista uccisa a Pisa, si chiede cosa ci sia che non funzioni, oggi, nei servizi di cura: serve una presa in carico globale, che coinvolga anche il tessuto sociale e la comunità. Vale a dire applicare pienamente la legge 180 e formare adeguatamente ad essa gli operatori
«Come abbiamo più volte dichiarato, riteniamo che il parallelismo tra disturbo mentale e pericolosità vada assolutamente rigettato». A parlare è Gisella Trincas, presidente dell’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale – Unasam. La rete, a cui oggi aderiscono 70 realtà su tutto il territorio nazionale, ha inviato una lettera aperta a Simona Elmi, dirigente delegata dell’Unità funzionale della salute mentale adulti di Pisa – mandata per conoscenza anche all’assessore per la Sanità della Regione e al ministro della Salute – in cui esprimeva vicinanza alla famiglia della psichiatra rimasta uccisa a Pisa e metteva in luce la necessità di veri percorsi di recupero e di riabilitazione, denunciando la situazione di grave depauperamento che vive il settore negli ultimi anni.
«Il nostro Paese ha un problema di violenza abbastanza diffuso, a partire dai luoghi di vita quotidiana, verso le donne, i bambini, i più fragili», afferma la presidente. «Chiaramente qui ci troviamo di fronte a una persona con importanti disturbi mentali, che si sono innestati su una personalità di un certo tipo: non tutti sono uguali, io ho incontrato personalmente Gianluca Paul Seung e per me era chiarissimo che aveva delle serie difficoltà. La domanda che mi sorge, però, è cosa sia stato fatto per questo ragazzo, al di là dei ricoveri e dei farmaci». Per le associazioni, non si può pensare di affrontare una sofferenza di questo tipo solo con le pillole: servirebbero interventi riabilitativi intensivi, che permettano il recupero psicosociale della persona. La mancanza di questi percorsi in gran parte dei Dipartimenti di salute mentale – Dsm italiani è un grosso problema, fin dall’approvazione della Legge associata al nome di Franco Basaglia; un’altra importante criticità è la carenza di prevenzione. «La salvaguardia della salute mentale si fa attraverso interventi politici, economici e sociali che riguardano tutti i cittadini», continua Trincas, «come il sostegno alla fragilità, il diritto al lavoro e alla casa». Anche le regioni che storicamente hanno sempre avuto dei servizi all’avanguardia – Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Toscana, per esempio – in questo momento storico sono in difficoltà. «A Trieste, fiore all’occhiello della salute mentale italiana ed europea, è in atto un attacco frontale», dice la presidente di Unasam, senza usare mezzi termini.
«Le scelte politiche da decenni non sono orientate verso una vera attuazione della Legge 180 e gli operatori non sono formati rispetto alla norma. Io vivo la situazione della salute mentale dagli anni ‘70, con un fratello e una sorella con un disagio psichico; ho attraversato la storia di questo settore sin dall’ospedale psichiatrico. In questi 50 anni ci sono stati dei governi che hanno accolto alcune nostre istanze, forse perché avevano già determinate sensibilità, altri arrivati dopo demolivano quanto fatto prima. Nel corso del tempo ho visto tanti tentativi di mettere in discussione la riforma». Lo stigma, negli ultimi anni, è notevolmente aumentato, di pari passo alla diminuzione dei servizi e al loro progressivo definanziamento. «C’è stato un grande indebolimento anche a causa di quanto successo nella pandemia, quando le persone non avevano accesso ai servizi oppure non potevano vedere i loro familiari», commenta Trincas. «Oggi ci ritroviamo senza avere sul campo operatori disponibili; serve un’equipe multidisciplinare, che comprenda anche psicologi, educatori e assistenti sociali, che lavorino insieme sul territorio, coinvolgendo anche le associazioni di volontariato e la comunità. Ora, però, il personale è in grave sofferenza: a Siniscola (provincia di Nuoro, ndr), per esempio, c’è una psichiatra sola con 2.500 assistiti. In questo modo, però, non è possibile fare null’altro che intervenire sull’emergenza». Il problema, quindi, è legato anche alla disattenzione rispetto all’attuazione della Legge 180 e alla mancanza di risorse umane e materiali dei Dsm. Eppure, ora più che mai, c’è chi inneggia al ritorno dei manicomi. «I media hanno la loro parte di responsabilità, non solo per quanto riguarda questo episodio», conclude la presidente di Unasam. «Si punta sempre sul sensazionalismo, sul creare nell’opinione pubblica un senso di opposizione e di ribellione, è questo il motivo per cui vengono fuori i commenti agghiaccianti che sentiamo negli ultimi giorni, come “Rinchiudeteli tutti” o “Riaprite i manicomi”. C’è chi dice che la sinistra avrebbe sbagliato ad approvare la 180, ma questo denota una profonda ignoranza: la Legge è stata adottata nel 1978 da un governo democristiano e sostenuta da una grande ministra della Salute di questo schieramento, Tina Anselmi».