Varcare i confini a Gorizia (Covid 19 cronache di resistenza n. 3)

Varcare i confini a Gorizia

«C’eravamo dati appuntamento per un semplice saluto collettivo via skype, tutti i componenti della redazione di “Radio Fragola Gorizia”. Poi, in quella chiacchierata, dalla necessità di spezzare l’isolamento determinato dalla pandemia, è nata l’idea di realizzare “Cronache dalla quarantena”». È entusiasta di questa nuova esperienza Francesca Giglione, operatrice volontaria della radio nata nel 2016 a Gorizia, nel Parco Basaglia, come spin off dell’omonima esperienza triestina, in onda, via web, grazie al lavoro retribuito di ragazze e ragazzi con percorsi in salute mentale. Il 26 marzo viene caricato il primo programma “in quarantena”; si legge sulla pagina web: «Radio Fragola Gorizia torna nella rete: realizziamo e pubblichiamo i nostri prodotti informativi lavorando interconnessi ricreando la nostra sede (Area 174) dalle nostre case. In questo momento di crisi e isolamento, come lavoratori sociali e dell’informazione abbiamo la responsabilità d’essere presenti e attivi, per informare, collaborare e reinventare il futuro. Con questo podcast, e con quelli che verranno, vorremmo creare una rete informativa, d’opinione e discussione». L’obiettivo, ci spiega Francesca, «è raccogliere le testimonianze di quanti, dai giovani agli anziani, sono costretti a rimanere a casa, i loro bisogni, le loro esperienze. Lo facciamo attraverso interviste che o sono registrate con gli interlocutori o, giungendo in forma scritta, sono poi “doppiate” dai nostri operatori, oppure ancora attraverso video che sono poi lavorati dai nostri montatori. La cosa straordinaria è che in questo momento di chiusura stiamo varcando i confini, andando anche oltre la nostra città, siamo giunti perfino all’estero, con testimonianze che riportiamo grazie ai nostri traduttori». E l’idea dei ragazzi della radio sta diventando lo spunto per un più complessivo progetto di supporto telematico, per le persone fragili ma anche per gli operatori sanitari, garantito dai servizi di salute mentale, che dovrebbe partire in questi giorni e potrebbe diventare un utile strumento d’intervento anche per il futuro.

Come racconta anche “Cronache dalla quarantena” dando informazioni utili agli ascoltatori, i servizi territoriali psichiatrici goriziani stanno affrontando la sfida del Covid19 provando a riorganizzarsi a fronte delle ineluttabili difficoltà del momento e, a partire da una forte (e storica) sinergia tra il pubblico e il privato sociale, puntano a trasformare questo complesso periodo in una sfida utile a sviluppare nuove opportunità. «A fronte della chiusura dei centri diurni e delle attività di gruppo» ci spiega Marco Visentin psicologo del Centro di salute mentale goriziano «si è deciso di mantenere integri i rapporti di convenzione con il terzo settore rimodulandone gli interventi: così gli operatori del pubblico e del privato cooperano per garantire il contatto telefonico diretto e quotidiano con tutti gli utenti del Csm, verificando i loro bisogni e necessità, dando qualche piccolo consiglio per l’organizzazione della giornata, o anche per affrontare la solitudine o aiutarli nella gestione dell’ansia. Inoltre, dove necessario, si porta la terapia a domicilio. Ma va segnalato» conclude Visentin «che, al momento, la reazione delle persone in carico presso il Csm sia stata estremamente positiva. Certo seppure in numero estremamente ridotto, è necessario fare delle accoglienze, per l’80% si tratta di persone che vivono da sole. Ma non si è registrato alcun picco “psichiatrico”, l’attività di supporto preventivo dell’urgenza continua ad essere efficace, dall’inizio dell’emergenza Corona virus a Gorizia non si registra alcun Tso (che comunque qui si realizza nel Csm aperto sulle 24 ore). Le difficoltà potrebbero aumentare con il protrarsi delle restrizioni, ma per ora stiamo collaborando tutti nel migliore dei modi».

Insieme agli operatori dei servizi e al privato sociale, il sostegno alle persone fragili o in difficoltà arriva anche dalla strutturazione di una rete che coinvolge volontari, associazioni laiche e confessionali, esercizi commerciali, per affrontare le incombenze quotidiane (dalla spesa al pagamento delle utenze, dalle attività domestiche alla piccola passeggiata intorno all’isolato). Insomma, si punta a garantire sostegno sviluppando una rete sociale territoriale di supporto: «Chiaramente la realtà di una piccola città di provincia è molto diversa da quella metropolitana, e certo anche la conformazione urbanistica, la collaborazione delle forze dell’ordine, la strutturazione delle abitazioni con spazi ampi, e quindi una coabitazione certamente più semplice che quella in 40 mq, sono tutti elementi che facilitano un lavoro di sostegno» ci spiega Stefano d’Offizi, psichiatra al Csm goriziano «Ma va sottolineata soprattutto la capacità di tolleranza e resilienza che stanno dimostrando i nostri pazienti. Noi stessi, medici e operatori sanitari, stiamo puntando molto sulla loro responsabilizzazione, anche consegnando farmaci per tempi più lunghi. E l’importante risposta collaborativa delle persone ci sta insegnando qualcosa che sarà molto importante anche quando tutto questo sarà superato. L’elemento che ci sta consentendo di affrontare questo momento così complesso senza enormi affanni è rappresentato, certamente, dalla sinergia con il privato sociale» conclude D’Offizi «che qui è sempre stata molto forte e si è stretta ancora di più, permettendoci di non sospendere i servizi, ma di convertirli adattandoli alle contingenze determinate dall’attuale situazione». Donatella Lah è una delle operatrici di questo privato sociale e, con la sua cooperativa, è anche responsabile di alcuni gruppi-appartamento: «Per diminuire il rischio di contagio abbiamo limitato il numero di operatori lasciando inalterata la copertura oraria» ci dice «Le persone che abitano gli appartamenti, fino ad oggi, hanno risposto molto bene. Certo, come in ogni luogo di convivenza, non mancano conflittualità che l’impossibilità di uscire aumenta. Ma affrontandoli sempre con attenzione e cura, i conflitti vengono risolti. Anche perché, proprio in questo periodo, stiamo lavorando molto sulla fiducia e sulla responsabilizzazione, e stiamo imparando tanto anche noi operatori. Così, ad esempio, anche per garantire una possibilità di uscita, abbiamo scelto che siano gli ospiti della casa a fare la spesa, affidando loro il bancomat della cooperativa. Quello che invece si soffre molto a causa delle precauzioni anti-contagio» continua Donatella «è l’assenza di contatto fisico con gli operatori; così ci siamo inventati gli abbracci e i baci virtuali e stiamo sperimentando un utilizzo “affettivo” e razionale dei social network. Ulteriori difficoltà vengono dall’interruzione delle borse lavoro, dei laboratori, delle attività esterne. Bisogna ridefinire le giornate. Così stiamo sperimentando nuovi corsi interni di scrittura creativa, teatrali, di giardinaggio e, soprattutto, diamo vita ad una grande cucina che ci farà uscire da questo periodo tutti un po’ più pienotti». Più complesso il rapporto con la burocrazia: «Per l’attività sul territorio viaggio con una cartellina dove al momento colleziono otto diverse autorizzazioni che attestano la mia possibilità di lavorare. E dalla prefettura ne vorrebbero anche di più». Insomma, anche al tempo del corona virus, a far diventare matti in questo Paese restano innanzitutto le “scartoffie”. Per fortuna, resta, anche nei servizi di salute mentale, chi ancora sa pensare e praticare la differenza.

Antonio Esposito

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